IL COMMENTO: IL FANGO CHE DAI GHETTI ARRIVA IN PARLAMENTO

di Silvio Nocera

Di tutta la vicenda che è esplosa attorno ad Aboubakar Soumahoro mi resteranno impressi quegli stivali verdi sporchi di fango. Quel fango doveva rappresentare il lavoro, la fatica, il sudore, l’ingiustizia: oggi invece appare simbolo di sfruttamento del prossimo

Non mi metterò a tirare fuori tutte le polemiche esplose in questi giorni, non parlerò dei dettagli delle cooperative di moglie e suocera, la Karibu e il Consorzio Aid, del video di autodifesa tra accuse e lacrime di coccodrillo. Non ne vale la pena. Resta tutto rumore di sottofondo rispetto ai danni che il comportamento del neodeputato ha causato.

La vicenda rischia di finire nel meccanismo di tutta l’erba un fascio, minando la credibilità e la bontà di chi certe battaglie di uguaglianza le porta avanti da sempre con impegno e onestà e dando corpo a quella narrazione per cui chi lavora con i migranti ha sempre un secondo obiettivo di tornaconto personale. Un perfetto assist a tutta quella vulgata che si iscrive nel solco de ONG: TAXI DEL MARE, STOP INVASIONE, PRIMA GLI ITALIANI, e salvinate varie.

Perché è un attimo, sapete?

È un attimo che il lavoro di chi seriamente opera per l’inclusione venga gettato nel fango e perda completamente tutta la sua credibilità.

È un attimo che gente che è giunta in Italia e ha provato a costruirsi un nuovo spazio di vita venga guardata e trattata come un Soumahoro qualunque, con lo stesso disprezzo, con la stessa rabbia di chi si è sentito preso per i fondelli a casa propria, facendo per giunta passare due messaggi consequenziali: che in Italia tutto è permesso e tutto viene presto perdonato e che il processo di selezione dei quadri dei partiti non è più frutto di un percorso, di una formazione, ma di un rincorrere l’accalappiavoti di turno, senza considerare tante altre cose. Che, come in questo caso, vengono poi a galla e mostrano il lato deteriore di un certo civismo italiota. 

Potreste dire: ma Soumahoro non è indagato

Vero!  Ma esiste anche il fattore O: opportunità. Nel qual caso sarebbe opportuno che il neodeputato si dimettesse, colpito al cuore dal boomerang di un’accoglienza, suo cavallo di battaglia assieme ai diritti sindacali dei migranti, che rappresenta l’essenza stessa del suo senso politico e della sua candidatura. E che lo facesse per dare un esempio a chi lo addita e a chi potrebbe accusarlo di avere costruito la sua carriera sulla pelle di quelli che avrebbe dovuto proteggere. 

Il tentativo di costruire una sorta di anti-Salvini, opposto e speculare alla vulgata leghista dell’aiutiamoli a casa loro, è miseramente crollato e si vedrà quali e quanti strascichi si porterà dietro con picchi stracult come l’affermazione del diritto all’eleganza (ma davvero esiste un diritto all’eleganza?) e quello di scomodare ogni tre per due, abusandola, la parola diritti, tralasciando di parlare dei corrispettivi doveri. Ad esempio, quello alla legalità.

La vicenda Soumahoro affonda dunque in quello stesso fango da cui pareva essere emersa, in quel fango portato da stivali fin sulla soglia di Montecitorio. Una storia che potrà fare da apripista alle tante, troppe irregolarità e frodi perpetrate dagli enti gestori dell’accoglienza nei dieci anni che hanno accompagnato i progetti di inclusioni legati all’emergenza sbarchi di cui ci siamo già occupati su questo blog.

Perché l’inclusione non si fa col pietismo, col pauperismo e col volemose bene, ma con percorsi di accoglienza in cui diritti e doveri devono stare in perfetto equilibrio.

Per queste ragioni si tratta di una pagina di cronaca che non riesco, non posso, non voglio accettare, in virtù dell’impegno e dell’abnegazione profusi quando facevo l’operatore sociale nel settore dell’immigrazione. Dove di leggerezze gestionali (meglio forse porcherie) ne ho viste fin troppe. Tutte sempre a scapito dei più deboli e a favore delle tasche o degli affari di chi coordinava, sotto un occhio non troppo vigile delle prefetture


Se ti è piaciuto questo articolo, leggi anche L’immigrazione è una cosa seria

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