Di Banksy e di come l’arte diventa democrazia

di Silvio Nocera

È in una periferia di Italia che si tiene fino al prossimo 26 febbraio la mostra Banksy sullo Stretto. Reggio Calabria, l’antica città sullo Stretto di Messina, una nobile e lunga storia di grecità italica, una delle culle della Magna Grecia, diventa palcoscenico di respiro internazionale.

«Se vuoi dire qualcosa e vuoi che la gente ti ascolti, allora indossa una maschera. Se vuoi dire la verità devi mentire. Non saprete mai chi sono e ogni verità che dirò sarà mascherata da una bugia». Con queste parole Banksy, street artist e autore di quattro diverse pubblicazioni (tra cui Wall and Piece), delinea il manifesto della sua poetica per un’arte pop, popolare, che mira al grande pubblico, nel solco di quanto fatto da Andy Warhol.

TOGLIERE ALLE MAFIE

Siamo a Palazzo della Cultura di Reggio Calabria dove, grazie alla programmazione culturale del Museo delle Opere sequestrate alla ‘ndrangheta, nell’ambito del filone arte e attivismo, Stefano Antonelli, Gianluca Marziani e Metamorfosi hanno avviato un progetto che mira a diffondere le opere dell’artista di Bristol di cui nessuno conosce il volto, ma che è riuscito a diventare una vera e propria icona delle più recenti avanguardie della street art e della cultura pop.   

«Fa parte della linea che abbiamo voluto dare all’iniziativa: raccontare un artista della periferia inglese in una mostra allestita in una città della periferia italiana dove, d’abitudine, l’accesso al mondo dell’arte è molto limitato, se non nullo. Le grandi esibizioni di solito si tengono in grandi centri urbani, come Roma, Milano, Firenze, Venezia. Chi non risiede vicino a quei luoghi, o non ha possibilità di recarvisi, è tagliato fuori. Noi, invece, grazie alla peculiarità del lavoro dell’artista, siamo riusciti a creare un evento internazionale a Reggio Calabria, una città importante sotto tanti punti di vista e ricca di un fermento culturale che non ci si aspetterebbe», ci racconta Stefano Antonelli, curatore della mostra, ricercatore indipendente, fondatore e direttore artistico di 999Contemporary, esperto di musealizzazione territoriale. Sua è l’idea dek progetto M.A.G.R., Museo Abusivo Gestito dai Rom negli spazi dell’Ex Mira Lanza di Roma, del Museo Diffuso di Ostiense, di quello Condominiale di Tor Marancia che ha rappresentato l’Italia presso la XV Mostra di Architettura della Biennale di Venezia. 

LA MOSTRA

La mostra consta di un corposo numero di serigrafie, alcune delle quali parte della serie originariamente creata e firmata da Banksy, che vanno da Love is in the Air (un lavoro su carta che riproduce su fondo rosso lo stencil apparso per la prima volta nel 2003 a Gerusalemme, raffigurante un giovane che lancia un mazzo di fiori), a Love Rat (dove un topo, uno dei soggetti preferiti dell’artista inglese, è rappresentato con un grande pennello in mano mentre ha terminato di tracciare il contorno di un cuore rosso su un muro invisibile), fino a Bomb Love (serigrafia del 2003 conosciuta anche come Bomb Hugger e pubblicata in 750 copie da Pictures On Walls, proprio durante le manifestazioni in Gran Bretagna per criticare l’intervento congiunto con gli USA contro l’Iraq). Solo per citarne alcune. 

LO STRANIAMENTO

Opere che raccontano la sua etica e comunicano la sua visione di mondo, permeata da una rigorosa coscienza sociale. «Sono messaggi potenti e immediatamente comunicativi che utilizzano l’artificio retorico del detournèment (distrazione, deviazione, in francese) e che affondano le radici nella conoscenza dei meccanismi cognitivi legati all’attentività degli spettatori. Banksy inserisce nelle proprie opere elementi iconici che esulano dagli ancoraggi semantici dell’opera e che catturano l’attenzione di chi la guarda attivando un meccanismo di straniamento. Usa le tecniche di persuasione narrative studiate da Arielli e Bottazzini, scienziati cognitivi che hanno approfondito come mai certe credenze (idee) si diffondono più di altre.

Un breve corto firmato dall’artista Banksy in Italia, a Venezia, sulle grandi navi in laguna

Nel loro studio sulle religioni gli studiosi hanno scoperto che le narrazioni portatrici di una capacità persuasiva sono quelle che contengono elementi leggermente contro-intuitivi. In Banksy li troviamo nel cappello posizionato sulla statua,  nell’immagine dei bambini che corrono con i giubbotti antiproiettile, nei soldati accucciati in trincea che, anziché prepararsi a combattere, disegnato il simbolo della pace. A livello neuronale, in presenza di un elemento contro-intuitivo, il cervello si attiva perché riconosce qualcosa di diverso rispetto al proprio schema. Se guardiamo Bomb Love, ad esempio, l’elemento di distrazione è rappresentato dalla bomba, abbracciata da una donna affettuosa e sorridente», continua Antonelli

Non è un meccanismo nuovo, la sua origine va ricercata nelle pratiche dell’internazionale situazionista, movimento filosofico, sociologico ed artistico che trova ispirazione nel marxismo libertario e nelle avanguardie artistiche d’inizio Novecento, come il Dada, il Surrealismo ed il Costruttivismo russo. «In tal senso si può affermare che Banksy, attraverso le sue opere, attua quella capacità di imprimersi nel reale (e di influenzarlo) di nietzeschiana memoria che a molti artisti odierni, anche molto quotati, manca», spiega ancora Antonelli

L’ARTE CONTRO


Banksy parla attraverso le sue opere e si dimostra un artista contro: contro la globalizzazione, contro la mercificazione, contro la guerra, contro le discriminazioni e le disuguaglianze. Non è un caso che tra i suoi soggetti ci siano i topi, animali intelligenti, marginalizzati, che vivono nel sottosuolo e che la società cerca di allontanare, ma in grado di rovesciare e poi dominare sistemi sociali anche complessi. E non è un caso che nel 2021, quando la sua opera Balloon Girl viene battuta all’asta da Sotheby’s per 22 milioni di euro, al colpo di martello finale con cui il battitore aggiudica l’opera, l’opera venga distrutta da un meccanismo elettronico tagliacarte montato dall’artista all’interno della cornice, davanti ad una pubblico che assiste esterrefatto.

Banksy aveva già avuto modo di affermare come il copyright fosse letteralmente “per i perdenti”. Mai più che con lui il medium diventa messaggio ed egli stesso punta a “scomparire” dalle sue opere. Allo stesso modo Banksy muove una critica all’ovattato e ricco mondo dell’arte, che, se da una parte rifiuta, dall’altra piega al proprio utile: quello di diffondere al massimo i suoi messaggi. Un’arte iniziata elaborando graffiti sui muri di Bristol, poi di Londra e poi ancora di molte altre città del mondo in cui organizza residenze artistiche a sorpresa, flashmob ed eclatanti installazioni pubbliche che hanno come “tela” i muri e, più in generale, lo spazio pubblico che l’artista sfrutta come un grande megafono.  

Da semplice graffitaro inglese nel 2001 Banksy si trasforma in artista di fama internazionale e lo fa rompendo gli schemi del mercato tradizionale dell’arte: «Banksy decide di arrivare al pubblico con altri mezzi, rispetto a quelli tradizionali, abbattendo la rete di distribuzione. La congiuntura gli è favorevole. Lo sviluppo dei social network gli consente di disintermediare il rapporto con il pubblico. Nel 2007 Facebook consente un’accelerazione della condivisione delle sue opere, come già accaduto in maniera ancora embrionale con Myspace e con Photolog, blog che i writers utilizzavano per scambiare le immagini dei propri lavori. E nel 2013 Banksy apre il proprio canale Instagram», afferma Antonelli.

“SCELGO IO”

A questo moto si accosta la scelta delle serigrafie, stampe in serie vendute a un prezzo popolare che portano con loro un messaggio dirompente: «Scelgo io come guadagnare, non voglio ricavare una cifra astronomica da una mia singola opera, ma voglio che questa venga distribuita di modo che anche chi fino ad oggi non poteva accedere all’arte, possa farlo a cifre popolari». Il risultato è di condurre le sue opere dove vuole vengano condotte, con un vero e proprio processo di democratizzazione di un comparto appannaggio dei più ricchi.

«Banksy crea l’opera e poi va a farla riprodurre. Le sue opere si diffondo, vengono acquistate e questo comporta un grande cambiamento nel circuito dell’arte e delle mostre: allarga il parco prestatori di opere per le esibizioni. Non si tratta più di ricchi collezionisti, ma di gente comune. Oggi abbiamo prestatori che sono operai inglesi. Una cosa impensabile altrove!», prosegue Antonelli.  

RIFIUTO DELLA MERCIFICAZIONE DELL’ARTE

L’idea affronta un tema molto sentito nell’arte: la riproducibilità dell’opera d’arte di cui si era già occupato Walter Benjamin nel suo saggio L’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Tuttavia alla questione tecnica si sposano forti istanze di giustizia sociale e pacifismo unite al profondo senso di repulsione per le derive neoliberiste: «Banksy fa proprie le istanze di quei movimenti legati a Porto Alegre e al Social Forum che rifiutano il copyright, che criticano l’operato delle multinazionali e che osteggiano il Signoraggio delle guerre. In effetti ognuna di queste istanze si è tramutata in una sua opera d’arte. Banksy si presenta come il cantore di quel portato politico che non solo afferma, ma rivendica», continua Antonelli.

A questo è legato il suo modo di carpire il linguaggio pubblicitario e piegarlo al proprio scopo. Alla vigilia dei Giochi delle XXX Olimpiadi tenutesi a Londra nel 2012, Banksy scaglia la sua feroce critica contro lo strapotere e la manipolazione pubblicitaria. Si tratta della teoria del Brandalism , già ben enucleata proprio nel suo libro Wall and Piece pubblicato sette anni prima. È così che emerge l’istanza di riappropriarsi dello spazio pubblico, agendo e non subendo l’advertising, nella convinzione che tutto ciò che ti viene imposto e su cui non puoi mettere bocca è tuo e puoi farci quello che vuoi.

Spiega Antonelli: «Per Banksy la pubblicità influenza e determina i nostri schemi comportamentali, non è possibile lasciarla agire indisturbata. Dato che il suo impegno va in direzione del cambiamento, egli ha più bisogno di muri su cui disegnare e di spazi pubblici in cui operare, che di contesti museali percepiti come autoreferenziali. In ragione di ciò  appare ancora più funzionale adottare il linguaggio della tecnica pubblicitaria, nella semantica, nei formati e nei metodi di veicolazione. Una sorta di guerrilla marketing a contrario».   

L’ARTE DI BANSKY APPARTIENE AI SUD E ALLE PERIFERIE DEL MONDO

Banksy dunque entra a pieno a titolo nel novero degli artisti che sono rilevanti sull’orizzonte storico, più che del mercato dell’arte. «È proprio questo suo rifiuto delle logiche di mercato che ci ha consentito di allestire a costi ragionevoli una mostra del genere a Reggio Calabria. In altri casi non avremmo potuto farlo. Questo ci dà la forza di proiettare una città di provincia sulla ribalta e avvicinarla alla partecipazione culturale internazionale. Allo stesso modo ci dà l’opportunità di far conoscere ai giovani un loro mito contemporaneo dal vivo. Si tratta di piccoli passi che aiutano i territori a costruire percorsi di crescita sociale e culturale di cui al momento vediamo solo delle piccole tracce. Anche Reggio Calabria, città di antica cultura e di nobili radici che deve essere fiera del proprio passato, custodirlo e valorizzarlo», termina Antonelli. Come a dire che anche di arte si vive e con l’arte si promuove lo sviluppo, l’evoluzione, la coscienza di sé e del mondo

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