L’editoriale: chi ha paura dell’altro?

di Elisa Mauro

Non era la presunzione di aver donato agli altri qualcosa di buono ma la certezza di aver dato di più di quello che meritavamo di ricevere. E in questa convinzione abbiamo edificato, giorno dopo giorno, notizia dopo notizia, la sfiducia, il disincanto, la paura, il rifiuto per gli altri, per ciò che stavano diventando: una minaccia. E noi, di rimando, per loro. Non dovevamo abbatterci, deprimerci, isolarci, ma cosa altro potevamo fare? Guardarci in faccia era come vederci nudi, senza difese, privati anche della coscienza. Smagriti, fermi immobili mentre il tutto il resto si muoveva e mutava. E mutavamo noi.

Questa maledetta pandemia ci ha cambiato nel profondo. C’erano in bella mostra le nostre esigenze prima di questo, una serie infinita e didascalica di io io io, il vivere routinario in mezzo ad altro vivere routinario di un mondo che stava diventando fantascienza. Appena è iniziata, le nostre esigenze erano state messe ferme a una stazione di servizio, senza mezzi né soccorsi, a chiedere l’autostop a qualche sconosciuto di passaggio. Ma non passava nessuno. E così le abbiamo lasciate lì per un momento, lungo fino a oggi, ad aspettare che arrivasse quel tempo che ci avrebbe condotti verso una realtà meno affannata, meno spaventata di questa. La paura però non si fermava, anzi, s’ingigantiva. Ci dicevamo unici, speciali, e adesso ci accorgiamo di essere normali, vulnerabili.

SIAMO LENTI

Siamo più di sette miliardi, senza contare le anime che ci gravitano attorno. Siamo tantissimi, per qualcuno anche troppi, siamo quelli che vivono ancora su questa Terra e alimentano le sorti di quelli che verranno. Ma siamo spaesati, senza rotte, e ci cambiamo le visioni continuamente, come le lenti che si cambiano su quegli strani occhiali che s’indossano durante una visita oculistica. Abbiamo capito cosa significa vivere al presente in un mondo che si trasforma, insieme a varianti di virus, e di noi stessi, che non pensavamo potessero esistere, ma che forse tra loro si fanno più forza di ciò che immaginiamo.

Noi cambiamo ed è questo che in tanti casi non riusciamo ad accettare. E questo significa non voler crescere. Siamo convinti di aver dato troppo al mondo, agli altri, e adesso, imparata la lezione, ci teniamo tutto per noi. Perché siamo diventati come Harpagon, l’avaro di Molière, gelosi anche dell’aria che respiriamo. Siamo così avidi, così impauriti, da saper trattenere il fiato in presenza di un altro, al suo passaggio. Camminiamo in mezzo agli individui in apnea. E tratteniamo non solo il respiro ma soprattutto i nostri sentimenti migliori.

Da piccoli ci spiegavano in famiglia che per vivere in un mondo cagionevole e malaticcio, come quello che ci preparavamo a conoscere, occorreva avere coraggio. Ma forse ne abbiamo avuto troppo. Il coraggio non basta più per vivere in un contesto del genere. Serve qualcosa che ci ricordi quanto sappiamo essere speciali, che ci ricordi che quei sentimenti, che tratteniamo come il respiro davanti a un altro individuo, sono come i sogni di un bambino. Intoccabili e unici. Sembrano tutti uguali, ma non c’è bambino al mondo che sogna di diventare astronauta con una navicella verde pistacchio marmorizzata al cioccolato, tranne uno, non c’è un bimbo al mondo che sogna di diventare un veterinario che cura denti di dinosauri con una macchina escavatrice, tranne uno, non c’è una bimba che sogna di diventare un’illustratrice di mappe, mentre fa la pedicure a una mucca peluche, tranne una (ed è mia figlia Andrea).

E così che invece abbiamo fatto della vera unicità un calderone di ovvietà, di slogan, di tribune avversarie. Ci siamo dimenticati di come fosse importante credere nell’uomo, nel prossimo. E non solo per quei valori cristiani trasmessi fin dalla nascita – chi ci crede più alle favole – ma per quel posto che serbiamo dentro e che ha bisogno di acqua, perché bevendo cresce e si rinforza e si trasmette. Ed è qualcosa che diventa di tutti e tutti diventano così: meritevoli di quella forza, di quel crederci, di quella fiducia reciproca che in momenti come questo, che sembrano ormai interminabili, non deve fare a meno di esserci. Altrimenti sopperiamo. Ci estinguiamo, e saluti a tutti, calate il sipario.

È CORAGGIOSO DIRE NO

È coraggioso essere contrari a questo processo evolutivo, alle regole imposte dall’”alto”, ai vaccini, almeno quanto lo è vivere da eterni adolescenti. Contrastare, opporsi al sistema, più per partito preso, che per aver compreso le proprie ragioni, è una pratica che ricordo anche io. È una di quelle che si discute e si ribatte esclusivamente tra ormoni. Con la loro voce. Che dilaniano aspetti logici pur di darsi ragione. Che spingono l’acceleratore della veridicità dei fatti e delle circostanze oltre la massima velocità. Siamo coraggiosi quando ci opponiamo, è così, ma lo siamo di più quando nutriamo fiducia in qualcosa, quando speriamo, quando il marcio non ci appanna più la vista, quando rispediamo l’ottusità da quelle esigenze lasciate ferme alla stazione di servizio che sembravano essere così basilari e che oggi invece riscopriamo accessorie e vane.

Questa è una società umana, ma non è fatta di persone, è fatta dei loro difetti e dei loro pregi. Siamo l’omologazione di alcuni e la trasformazione di altri.

Non sono state la mancata cultura e l’informazione da binario morto a renderci così, non solo per lo meno, è stata la politica peggiore, inquinata dagli affari, i giornali urlati, la troppa coscienza del sé che non hanno nutrito la fiducia che avremmo dovuto riporre sapientemente nelle nostre Istituzioni. Ecco perché oggi siamo schierati l’uno contro l’altro. Per quella politica sporcata, per quell’informazione malata. Ecco perché latriamo frasi senza senso e fingiamo di conoscere bene cosa è meglio per noi. Non solo non conosciamo nulla di noi, in molti casi non sappiamo neanche quanta acqua ci compone, di quante ossa dispone il nostro scheletro. Di certo non conosciamo a che ora di quale giorno è posizionato il nostro timer quando scadremo e tutto di noi sarà un piagnisteo social e un profilo carico di cordoglio e spudorati like

OPPORSI ALL’EVOLUZIONE

Sì, certo: ci vuole coraggio per opporsi al sistema, ma anche irrisolta immaturità. Lo facevamo allora per sentirci liberi ed eravamo schiavi delle mode, del sopraggiungere dei vizi, della tecnologia. Quanti paradossi nelle lotte contro il sistema!

Il sistema è un complesso organismo umano fatto della sua società, della sua cultura, della sua politica, della sua fisiologia. Noi siamo funzione di esso, finché in vita. Ogni sistema si sviluppa, studia, collabora o contrasta e al secondo successivo si rinforza dell’odio e dell’amore che proviamo gli uni verso gli altri. E se qualche cellula, o un gruppo di esse, gli si oppongono è come se a contrastarlo fosse un suo stesso organo. Malato, metastatizzato nel cervello. È una battaglia improduttiva – non lo capiamo? – che deve essere fermata a tutti i costi.

Per di più: è peggio di come sembra

È un infermiere (il corrotto) – tra i tanti che, viceversa, lavorano con passione, devozione e ardimento – che si fa pagare sottobanco per iniettare il vaccino nel vuoto in modo falso e delittuoso; è una signora (la corruttrice), probabilmente madre di famiglia, che allestisce un teatrino a pagamento per l’esibizione peggiore di sé e per ricevere un lascia passare di libertà a uccidere, è un medico – tra i tanti che, viceversa, hanno sposato la loro professione per amore e non per interesse – che non ha inteso che se c’è una cosa di cui non s’interessa il virus è proprio la politica, l’economia, per quanto le influenzi; è allo stesso modo un ristoratore che non chiede volutamente il Green Pass obbligatorio rischiando contagi improvvidi tra i suoi stessi clienti.

È anche un malato terminale che vorrebbe accedere al servizio sanitario nazionale, e non può; è una malato qualsiasi che vorrebbe accedere al servizio sanitario nazionale. E ancora non può. Il sistema sembra così corrotto da doverglisi opporre. Eppure non è una multinazionale a ricevere illecitamente denaro per sottoporre un vaccino, è piuttosto l’infermiere corrotto che accetta bustarelle per inocularlo falsamente. Questo “professionista” sembra dalla vostra parte, ma non lo è affatto. È solo dalla sua.

E se invece fosse meglio di come sembra?

Allora sarebbe la fine della ricreazione, il suono della campanella, sarebbe per una volta crescere. Perfezionarci. Imparare ad ascoltare anche quello che non ci piace. Accettare le decisioni di chi sa, di chi ha imparato, di quelli del mestiere, accettare l’evoluzione scientifica, il progresso medico. Accettare gli altri. Fidarci gli uni degli altri. Levarci il marcio che ci sta inondando la visione.

È ESSERE

Credere in un vaccino, credere nell’essere umano che l’ha creato, credere nel genitore che proteggerà suo figlio dalle tremendi ripercussioni di questo virus e dei suoi contagi, credere nell’umanità che crede in un futuro migliore non è essere pavidi. È essere. E esistere, almeno quanto le nostre esigenze. Almeno quanto quella coscienza che abbiamo ammutolito dentro strabordanti sacche di bile. Non dovevamo farci così male a vicenda. Non dovevamo dirci tutte quelle cose orrende. Non dovevamo vedere immagini così scandalose. Eppure abbiamo fatto tutto di questo, e non ci sentiamo migliorati affatto. Siamo cambiati però. Come cambia questo virus che tanto odiamo ma che troppo ci assomiglia.

Non basta aver coraggio per affrontare l’anno che verrà. Serviranno amore, comprensione, rispetto, fiducia reciproci. Tutti sentimenti unici e intoccabili come i sogni di bambini. Perché se è vero che non tutto è andato bene, come ci dicevamo e speravamo, se è vero che non sappiamo ancora se tutto andrà per il meglio, è senz’altro vero che invece tutto andrà dove deve andare. E lo decideremo insieme.

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