L’annuncio del piano tedesco di 200 miliardi contro il caro energia è l’ultimo squarcio nel velo dell’ipocrisia con cui i tedeschi hanno negli anni costruito un’Unione Europea a loro immagine e somiglianza. Non solo: meglio, a loro uso e consumo.
Sul fronte europeo c’è un’altra notizia che completa il quadro: la bocciatura della proposta italo-francese di introdurre un nuovo schema di emissioni comuni sotto forma di prestiti agli Stati membri per fronteggiare lo shock energetico sul modello di Sure (State sUpported shoRt-timE work), fondo europeo da 100 miliardi di euro con cui nel 2020 la Commissione ha previsto l’erogazione di prestiti a condizioni favorevoli agli Stati membri, costretti a mobilitare risorse per preservare l’occupazione a rischio a causa della crisi provocata dalla pandemia da Covid-19.
In poche parole, l’obiettivo di Breton e Gentiloni era quello di programmare un nuovo intervento che ha alla base l’emissione di un debito europeo garantito dalla Commissione per fronteggiare il caos energia, quando già la frittata era stata fatta, e cioè l’annuncio di Scholz di iniettare risorse pubbliche per un costo totale di 200 miliardi in 3 anni per calmierare i prezzi del gas dopo il naufragio dell’individuazione di un tetto europeo al suo prezzo.
Siamo tornati ai soliti vecchi schemi con il fronte dei rigoristi (Germania, Olanda e Austria) contrapposto agli altri in un’Unione Europea lacerata dall’annosa questione dell’applicare i principi, ad esempio quello di solidarietà, su cui si fonda.
Ma perché il piano tedesco costituisce una tale bomba nucleare?
Prima di tutto perché avvantaggia il sistema economico teutonico che, grazie agli aiuti di Stato (stendiamo un velo pietoso sui due pesi e le due misure che da anni accompagnano l’interpretazione e l’utilizzo di fondi statali per affiancare comparti o imprese in difficoltà, basti ricordare l’uso spregiudicato che la Germania ne ha fatto per salvare le proprie banche dopo la crisi del 2008), può acquistare energia a prezzi calmierati.
Questo significa abbattere gli attuali costi di produzione all’interno del mercato unico e innescare meccanismi di distorsione e sperequazione del mercato stesso a vantaggio delle imprese tedesche e a svantaggio delle altre europee. Un vero e proprio esercizio di dumping, così come ancora accade per i paradisi fiscali di Lussemburgo, Irlanda e Olanda, sempre sulle barricate per tutelare il proprio interesse nazionale.
In secondo luogo, scopre il ventre molle dell’Unione, quello che fa riferimento ai tornaconti nazionali contro cui ha avuto gioco facile Orban parlando di inizio di cannibalismo in seno all’UE.
Putin ringrazia
Le sue mosse geopolitiche sono il frutto di considerazioni ineludibili sula frammentazione europea. Non avrebbe potuto desiderare avvitamento migliore.
A babbo morto, oggi, Von der Leyen cerca di mettere una pezza alle ingenuità geopolitiche che la Germania ha prodotto prima con Merkel e poi con Scholz annunciando che la Commissione è pronta a lavorare su un tetto temporaneo al prezzo del gas, soluzione tampone fin allo sviluppo di un nuovo indice dei prezzi dell’Unione che garantisca un migliore funzionamento del mercato: «Le misure che abbiamo messo in atto ci forniscono un primo cuscinetto di protezione. Ora faremo un passo avanti per affrontare l’aumento dei costi energetici (…) il nostro principale parametro di riferimento dei prezzi (Title Transfer Facility di Amsterdam), non è più rappresentativo del nostro mercato, che oggi include più Gnl».
L’Unione Europea arriva sempre un po’ tardi
È successo con le improvvide uscite di Christine Lagarde all’indomani della pandemia, con l’ostruzionismo dell’Olanda, con le fughe in avanti della Germania, solo per citare alcuni episodi recenti.
Tutto però è in movimento e i nuovi schemi di potere in Italia potrebbero influenzare il sistema di equilibri a Bruxelles. All’interno dei Paesi membri il peso dei partiti che fanno parte dei Popolari Europei (PPE) è negli anni diminuito.
Ungheria, Svezia e Italia ne sono un esempio
Hanno condotto al governo compagini di quella destra (cosiddetta sovranista) che chiede urgenti riforme dei Trattati e che sostiene, non senza ragione, che l’Europa così com’è non funziona. In questa commedia ognuno gioca la sua parte, ognuna diversa dalle altre, e il terreno delle critiche ha bisogno di essere sgombrato da tentazioni di strappi totali che disintegrerebbero l’Unione.
Questo, tuttavia, non deve distrarre dalla necessità di attuare riforme profonde che arginino lo strapotere dell’asse franco-tedesco e diano consistenza reale al principio di solidarietà, al fondo del barile l’unico strumento, nella stessa misura astratto e concreto, in grado di erodere le ideologie e le tentazioni autarchiche di che vorrebbe un’Europa à la carte, siano esse rappresentate dal fronte di Višegrad da una parte, o dalla “superbia” della Germania.
Durante i mesi dei duri attacchi all’austerity imposta dalla Germania, assieme al fronte rigorista, a tutta l’Unione, l’allora Presidente Napolitano aveva dichiarato che qualsiasi riforma in Europa era impensabile senza il placet di Berlino.
Nel frattempo gli equilibri sono cambiati anche in seno all’Europarlamento
Dicevo che, se da un lato il peso dei Popolari europei è diminuito, meglio non è andata ai Socialisti e Democratici, abbattuti dai risultati ottenuti alle ultime elezioni. Questo ha messo in crisi lo schema di potere in Europa basato sull’accordo tra questi due gruppi. Tant’è che l’elezione di Ursula Von der Leyen a capo della Commissione ha richiesto geometrie nuove che hanno permesso, grazie al voto favorevole dei Cinque Stelle di garantire lo status quo, accreditando al tempo stesso il M5S presso le cancellerie europee.
In questo quadro la probabile nomina di Giorgia Meloni, già Presidente del gruppo europeo Conservatori e Riformisti (ECR), a Presidente del Consiglio del nuovo governo italiano favorire processi di cambiamento nella governance europea, magari favorendo un nuovo accordo tra PPE ed ECR, può condurre a tante novità.
Molto dipenderà dall’abilità di manovra della Meloni e dalla sua capacità di visione e di attuazione di una nuova architettura politica capace di isolare le spinte centrifughe, creare un nuovo assetto in Europa e trasformare l’euroscetticismo in istanze riformatrici provenienti da un membro fondatore come l’Italia e capaci di dare nuova linfa al disegno europeo.
La domanda è allora una sola: quale Europa ha in mente la Meloni? Quali variabili dipendenti deve mettere in conto? E a quali variabili indipendenti, sul fronte interno ed Europeo, deve stare attenta?
Per un europeista tanto convinto quanto critico come me, per uno che festeggia con convinzione la ricorrenza del 9 maggio, assistere a iniziative nazionali come quella tedesca sull’energia rappresenta una grande sconfitta: toglie argomentazioni all’europeismo e gonfia le vele del sovranismo in crinale sempre più ripido in cui l’Europa smarrisce se stessa e annacqua il suo potere negoziale nelle relazioni internazionali, mentre la Nato risorge dalle sue ceneri e assume una nuova postura globale. Proprio quello che l’Europa dovrebbe fare.