IL COMMENTO: Vincitori sulle macerie, chi rappresenta il partito del Non Voto?

di Silvio Nocera

I commenti a caldo sono belli, ma a parte qualche intuizione miracolosa, il giorno dopo si digeriscono e quel che resta spesso è lo scarto di un pensiero abbozzato che lascia il tempo che trova.

Ok l’affermazione di Fratelli d’Italia, ok la remontada di M5S, ok il crollo della Lega e pure il disastro del PD, ma restano tutte chiacchiere da bar. E lo dico per due ragioni: la prima è che qualche giorno addietro, durante l’alluvione di Senigallia, con amici erano usciti quelli che poi sarebbero stati i dati che avrebbero composto il risultato elettorale: Azione intorno all’8% e M5S intorno al 15% e tutto il resto il risultato di addizioni e sottrazioni verosimili; la seconda è perché scrivo dal territorio, Reggio Calabria, che ha registrato uno dei tassi di astensione più alti rispetto alle politiche del 2018: – 10%. In Calabria, più in generale, uno su tre non è andato a votare.

Lascio a chi legge la rogna di farsi i conti di eletti, non eletti, distribuzione delle preferenze, perché si tratta in ogni caso di perdenti. Abbiamo perso la voglia di credere in un progetto di Paese che guardi al futuro con speranza. Abbiamo ascoltato troppe menzogne, una catena di supercazzole; abbiamo visto tutto e il contrario di tutto senza vergogna.

Parlare di democrazia allora diventa più complicato: perché se è vero che il centro-destra ha vinto, lo ha fatto sulle ceneri dell’elettorato italiano. La verità è che il vero vincitore di queste elezioni, il popolo dell’astensione, non sarà rappresentato in Parlamento. Quando si parla di democrazia, in un sistema come quello italiano, la rappresentatività e la rappresentanza ne costituiscono gli architravi.

E questo è un dibattito che nessuno ha realmente voluto aprire, ma che ha ripercussioni reali che arrivano a toccare i giunti delle Istituzioni e della Costituzione.

Chi rappresenta le istanze di chi non ha votato o di chi non ha potuto votare? Che cosa significa il non voto? Come rivitalizzare la partecipazione?

Badiamo bene, le urne sono le urne e la responsabilità di un risultato è di tutti. Ma è necessario fare qualcosa, e che non sia solo una riflessione.

Giorgia Meloni, FDI (©web)

Personalmente non mi spaventa la Meloni che ha i suoi meriti e ha saputo dimostrare con il suo esempio quanto la questione di genere venga spesso sventolata come vessillo identitario e quindi predicata bene e razzolata male da chi se ne riempie la bocca. Giorgia Meloni esercita una leadership femminile, è astuta, sarà la prima Presidente del Consiglio (risparmiatemi la solfa sul linguaggio di genere!) ed è la Presidente del gruppo Europeo Conservatori e Riformisti.

Meloni ha chiarito il suo posizionamento atlantico, deve invece chiarire la sua visione di Europa. L’Europeismo à la carte, un tanto al chilo, ha stancato tutti. È fuor di discussione che si lavori in una prospettiva europea e in una comunità internazionale, ma certi dogmi europei hanno spianato la strada a disastri, sperequazioni, ingiustizie e forme di dumping a tutto tondo. L’Europa ha bisogno di riforme più di quanto ne abbiano i suoi Stati membri. È ora di finirla anche con questa ipocrisia.

Chi mi spaventa davvero è la classe dirigente di Fratelli di Italia, non meno dei suoi alleati, con un Berlusconi che pare estratto dalla formaldeide, ma che anche stavolta ha avuto la meglio. Quello su cui spesso consapevolmente si sorvola nel chiacchiericcio politico della campagna elettorale è che il leader, l’anchorman, il volto di un partito è, appunto, solo un volto: intendo dire che la cosa che importa è il corpo di candidati che lo o la accompagnano.

Non sono solo il suo partito, ma le risorse, il capitale umano con cui presidia i centri di comando. Mi è bastato leggere i nomi dei candidati nel mio collegio per fare amare valutazioni di ogni tipo, prima tra tutte l’evidente incapacità di ricambiare le vecchie nomenklature di destra, centro, sinistra, sopra e sotto.

Resta sullo sfondo ad aleggiare malignamente lo spettro della desertificazione industriale, specie per Paese con un tessuto industriale per lo più trasformativo e manifatturiero per il quale il costo dell’energia ha un peso enorme: resta aperto il dossier della rete unica, quello di Ita, la questione MPS e e le varie vertenze industriali. Resta il disastro del dissesto idrogeologico, la vetustà delle infrastrutture, la capacità di permeazione della criminalità, il colabrodo sanitario, il divario tra Nord e Sud (Conte batte Carfagna 15 a 0).

Resta cioè la vita reale, quella lontana da Twitter, FaceBook, Instagram, TikTok e tutto il resto del cucuzzaro.

Siamo riusciti a dare una chance ai rovinosi M5S e vorremmo negarla, o addirittura abnegarla, ai vincitori di queste elezioni? Sarebbe davvero ingiusto. Diciamo che ora comincia il bello.


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