Tra qualche giorno forse tornerò sui miei passi. O forse no. Fatto sta che scrivo nella concitazione delle ore in cui cade in Italia l’ennesimo governo in un panorama che di roseo e rassicurante non ha nulla. E quello che mi suggerisce la pancia sono due azioni che poco hanno a che vedere con il mio orientamento moderato.
Strattonati da questo o quel politicante, pronto alla bisogna a invocare piagnucolosamente le elezioni al di la di ogni ragionevole dubbio e buon senso, al grido di restituiamo la parola agli elettori, gli italiani assistono attoniti a questa incomprensibile e bizantina crisi di governo che si giustifica solo in termini di misurazione del consenso.
Fior di giornali e quotidiani volteggiano come corvi sopra la carcassa di un Parlamento morto, ma ahimè non sepolto, perdendosi in analisi, ipotesi, congetture, composizioni-fantasia orrifiche e raccapriccianti, mentre almeno nove fronti dei conflitti incombono sull’Italia più che su altri Paesi: pandemia, crisi energetica, guerra, inflazione, povertà, crisi alimentare, debiti sovrani, riforma del Sistema Europeo, riposizionamenti geopolitici.
Si dirà: è il loro mestiere quello di raccontare gli avvenimenti. Vero!
Ma di due cose sono sicuro: la prima è che tra raccontare ed elucubrare spasmodicamente in modo quasi perverso, anche compiacendosene, c’è una differenza abissale; la seconda è che, nella mia visione, il Quarto Potere in momenti come questi debba assumersi il gravoso onere di indicare uscite di emergenza a beneficio del Sistema-Paese evitando di razzolare disordinatamente come l’ennesimo gallo di questo pollaio politico che siamo costretti a subire.
Chi usa l’argomentazione della democrazia sospesa e della restituzione del diritto di voto al popolo dimentica un paio di cosette: 1) le elezioni in Italia si sono sempre tenute regolarmente e questo disastrata Parlamento ne rappresenta gli esiti disastrosi; 2) l’Italia è una repubblica parlamentare nella cui Costituzione non sono previste (ancora) forme di presidenzialismo qualunque esso sia: svuotare questi contenuti a colpi di populismo un tanto al chilo per cui sono-gli-italiani-che-devono-scegliere-il-loro-presidente-del-consiglio è fuori dai ranghi della Carta.
Quello che all’Italia manca è invece un’altra cosa: la stabilità governativa, che è un po’ un problema di cultura civica, un po’ l’esito del totale disinteresse per la Cosa Pubblica (dicasi Bene Comune) e un po’ il frutto di storture e continui cambi di legge elettorale, materia di cui non solo il popolo non capisce una mazza, ma la politica fa in modo che resti un ambito oscuro.
Al netto di queste mie troppo blande considerazioni, mi trovo oggi con le spalle al muro: pur avendo sempre predicato la mediazione, la morigeratezza e la modestia (proprio nel senso cattolico del termine), ritengo che qualcosa di eclatante vada compiuto.
E questo qualcosa può essere declinato nelle estreme oscillazioni extraparlamentari di un pendolo che va da una sommossa di piazza al pubblico rogo delle schede elettorali, opzioni che significano una e una sola cosa: un grande, rumoroso, disordinato, sprezzante, anarchico vaffa. Con buona pace delle cinque sparute, insulse stelle cadenti che per me da sempre rappresentano il frutto deteriore, se non l’aborto, della peggiore sottocultura politica che l’Italia litigiosa e cialtrona, nei suoi picchi di folle genialità, abbia mai partorito.
Post Scriptum:
Il sistema di pesi e contrappesi alle fondamenta della nostra Repubblica venne, per fortuna, messo a punto non solo per evitare derive autoritarie, ma per incanalare percorsi di crisi istituzionale, depontenziandoli e rendendoli gestibili e governabili. Anche in questo caso sarà così e lo sarà per tre ragioni: l’Italia è, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e poi dall’ingresso in Schengen, un Paese a sovranità limitata; l’Italia ha un bisogno disperato degli soldi europei; e per questo l’Italia non può permettere erosioni della propria credibilità internazionale (se c’è mai stata).