Nella bassa Calabria dalla Piana di Rosarno si snoda la strada a scorrimento veloce che congiunge il Tirreno con lo Ionio, arrivando fino a Giojosa Ionica. La prima volta che l’ho percorsa da bambino, in auto con mio padre, ho avuto un tuffo al cuore: tra salite e discese che tagliano gli ultimi paesini della cintura aspromontana in direzione ovest-est, il tracciato si tuffa letteralmente nel grembo della montagna, seguendo greti di torrenti e vallate strette e lunghe che sormonta coi suoi viadotti.
D’improvviso la strada si tuffa dentro l’Aspromonte con una galleria che termina in due pareti verdi e alte e fitte che accecano gli occhi ancora abituati al buoi del tunnel. È una natura selvaggia, di una bellezza sfacciata che fulmina chi la guarda e che incute quasi timore. Ti prende d’assalto e ti lascia quasi impietrito.

E come alzi gli occhi, si stagliano sopra di te, tra blu e il verde, grandi, curiose strutture colorate: si tratta del Musaba, il Museo di Santa Barbara, realizzato sull’omonimo promontorio, nel piccolo comune di Mammola, noto in tutta la Calabria per le specialità gastronomiche a base di stoccafisso.
Su quel promontorio, sopra i resti di uno dei più importanti complessi monastici certosini, c’è un luogo magico dove sono situati i resti dell’antico complesso monastico certosino risalente al IV secolo cui poi subentrarono, restandone padroni fino al 1514 gli abati cistercensi.

È qui che nel 1969 Nik Spatari, defunto pittore, scultore e architetto autodidatta mammolese, e la compagna Hiske Maas decidono di creare un luogo in cui ambiente e cultura convivano e si integrino in una terra segnata e conosciuta per l’arretratezza e ostile ai grandi cambiamenti. Si tratta di un moto di ribellione che diventa artistico e sociale e che lancia un messaggio politico di riscatto: anche in Calabria si può e si deve.
Spatari, già a 9 anni insignito del premio internazionale di pittura Asse Tokyo-Roma-Berlino, inizia il suo percorso artistico negli anni Cinquanta e Sessanta. A Parigi frequenta lo studio di Le Corbusier e conosce Jean Cocteau. Studia gli affreschi pompeiani e gli ipogei etruschi, i maestri del Rinascimento e gli autori moderni come Klee, Kandinsky, Nolde, Picasso, Dufy, Gauguin, Modigliani, Ernst.

Le sue creazioni, oggi esposte al Musaba ne saranno molto influenzate. Ma è l’architettura che gli dà la chiave la volta per realizzare il suo progetto: creare un laboratorio-scuola-museo nel Meridione italiano, da cui proviene e di cui conosce i retaggi arcaici e la ricchezza archeologica e culturale, sconosciuta ai più.
«Fu d’idea di produrre le armonie universali, ove forme, colori, energia sono parti tridimensionali di elementi che compongono un tutto; acqua, aria, fuoco raffiguranti entro geometrie e branche spaziosi e frammentarie cosmico-terrestri», ha raccontato successivamente l’artista.
Il Musaba è l’unico museo all’aperto in Calabria e uno dei pochi in Europa che è anche laboratorio di sperimentazione artistica contemporanea e tutela del paesaggio. Ricorda Hiske: «Nonostante tanti problemi, tante ingiustizie che abbiamo subito, qui mi sento a casa. un sentimento consolidatosi nel tempo. qui c’è la mia storia, la creazione del musaba, tanti amici.

Partendo dal 1969 change your life ci siamo messi in gioco. ambiente degradato e violento. Un luogo abbandonato, gli interventi per il recupero innovativo dell’ex complesso antico, preservare la storia, le testimonianze del passato, collegandola al presente, il contemporaneo. La realizzazione del parco di 7 ettari con le opere monumentali site-specific, il recupero e gli interventi architettonici dell’ex stazione della calabra-lucana, la costruzione della foresteria e la nuova ala annesso al museo la Rosa dei Venti».
Il Musaba negli anni è diventato prima che un museo un luogo di incontro e di quello che la modernità definisce come co-working, spazio di lavoro, progettazione e riflessione comune, figlio di quella logica secondo cui il tutto non è mai solo il risultato della somma delle sue parti, ma qualcosa in più, un luogo dell’anima e del cuore capace di raccogliere e catalizzare la rivoluzione dell’arte e con l’arte.
Da Musaba sono passati, lasciando il loro segno artisti come Masafumi Maita, Jin-Long Chen, Italo Scanga, Pietro Gentili, Stevi Kerwin, Barba Quinn, solo per citarne alcuni. Grazie a una rappresentazione artistica che è diventata corale, quasi a memoria di antichi poemi epici, l’architettura, la scultura, la pittura, la sensibilità all’ambiente come spazio naturale che è al tempo stesso scrigno di cultura millenaria, Musaba costituisce una strategia di sviluppo, sopravvivenza, resilienza quasi collegata a una forma di geniale pensiero laterale.
Il museo è uno spazio aperto a ognuno, collabora con scuole e università e si è accreditato come centro di formazione artistica per giovani e addetti ai lavori. Fin dagli anni Settanta, ha ospitato programmi di presenze culturali internazionali capaci di connettere le funzioni di presidio ambientale a quelle di restauro-ristrutturazione dei resti del complesso monastico di Santa Barbara, a quelli di laboratorio di sperimentazioni.

Oltre agli spazi espositivi e alle attività laboratoriali, Musaba ospita un’area residenziale dove insistono l’ex stazione, un’area di 350 metri quadrati convertita in sede abitativa-lavorativa; la foresteria con 22 posti letto, il laboratorio di arte, edifici adibiti a magazzini e aree workshop, una biblioteca che contiene testi, musiche, video, un laboratorio informatico.
La storia di Musaba ci insegna che niente è impossibile e che un buon seme è in grado di germogliare anche in condizioni estreme. Co-working, economia green, tutela ambientale, non sono temi nuovi. Più che altro vanno di moda e spesso li si usa e abusa svuotandoli di significato, dimenticandosi che su tali elementi c’è chi già in tempi non sospetti e coraggiosi ha combattuto e vinto la propria battaglia. Per se stesso e per lo sviluppo di un territorio.