di Elisa Mauro
Appartengono a questo mondo più di quanto immaginano. Da molto più tempo di quanto crediamo. Ma solo da pochi mesi rimbalzano davanti agli occhi di chi non è esperto di tecnologia pur fruendo di cultura e di arte in modo più tradizionale. Si chiamano NFT e rappresentano la nuova frontiera della esistenza umana e delle sue impronte su questa Terra.
Sono entrati a far parte dell’arte, del gaming, della musica, della cultura popolare, l’hanno stravolta e nel giro di poco hanno saputo arricchire, come il genio della lampada, chi ha creduto in questa nuova prospettiva.
È l’acronimo NFT il più famoso al mondo. E sta a significare non-fungible token, ossia contenuti come musica, dipinti, disegni, illustrazioni digitali, giochi, metaversi, cartoline, libri, tweet, video o stralci di videoclip, materiali di ogni tipo, insomma, digitalmente prodotti in modo univoco, ossia non riproducibile, attraverso bit collegati a un sistema di controllo che tiene traccia di qualsiasi movimento o transazione o operazione rivolta nei confronti dell’opera stessa.
Questo sistema è chiamato Blockchain, che letteralmente significa «catena di blocchi». Già famoso per le criptovalute che circolano senza sosta dal 2009 con lo scambio della prima moneta Bitcoin, la blockchain è un insieme di tecnologie strutturate come una catena di blocchi che contengono le transazioni e il consenso distribuito su tutti i nodi della rete. Arte e collezionismo di nicchia sono andati a nozze con questo nuovo sistema di mercificazione.

Nel 2017 uno studio di sviluppatori canadesi ha progettato un gioco chiamato CryptoKitties. All’interno di esso si possono acquistare gatti virtuali tramite Ethereum, una specifica blockchain, che li rende unici. In Cryptokitties i felini acquistati crescono, si riproducono tra loro e generano nuovi gattini dal nuovo valore. Un valore inestimabile, che ha raggiunto livelli così assurdi, e hanno scatenato un traffico così intenso, da compromettere persino la rete Ethereum.
Lo strano caso di Mike Winkelmann
Se vi sembra una cosa assurda, sappiate allora che l’11 marzo 2021 viene battuta all’asta da Christie’s un’opera interamente digitale intitolata EVERYDAYS: THE FIRST 5000 DAYS. L’artista, creatore dell’immagine, lo conoscono in pochi e la gavetta sembra essere particolarmente insidiosa per un ragazzo qualunque come lui. Quando inizia a creare l’opera in questione ha solo 25 anni.

È il 2007 e Mike Winkelmann, originario del Wisconsin, conosce poco o quasi nulla della storia dell’arte, il suo eloquio ha tendenze da eterno adolescente, scurrile e sciatto. Lo definiscono così ancora oggi a New York. Si fa chiamare Beeple e con la sua opera, un collage di 5000 immagini, tra cui un disegno di suo zio, la numero zero, ha battuto ogni record aggiudicandosi l’incredibile cifra di $ 69.346.250. Una cosa mai successa prima per Christie’s su un’opera dematerializzata, o meglio, neomaterializzata. Bit e pixel rappresentano infatti la quarta dimensione. Adesso lo sanno bene le più importanti case d’aste al mondo che sfruttano al meglio la voracità di questo pubblico.
Gianpiero
Gianpiero D’Alessandro, invece, è italiano. Nasce nella provincia affollata di Napoli nel 1991. Oggi è writer, designer, grafico. Ma più di tutti Gianpiero è un grande artista affermato. Lo è nel mondo della CryptoArt. Le sue poppeggianti creazioni digitali sotto forma di NFT lo hanno condotto molto presto sull’Olimpo degli dei, accanto ai più ricchi e influenti digital artist del mondo. Dalle caricature adolescenziali Gianpiero acquisisce presto la sua tecnica e il suo stile e lo fonde con temi e personaggi che sono i protagonisti di una narrazione sempre inedita, eppur semplice ed efficace.
Il suo orsetto più famoso, reso celebre anche dalla collaborazione con Justin Bieber per la linea d’abbigliamento Drew House, di cui è anche socio, fa parte della collezione di NFT inBetweeners. La collezione presenta più di 10.777 oggetti unici disegnati a mano e conservati sulla blockchain di Ethereum. Le sue più notorie collaborazioni attualmente spaziano da quella con Cristiano Ronaldo a Snoop Dog, da Sergio Ramos a Clementino fino a Stefano Gabbana.
Assurdo, forse, ma non troppo.
L’assurdo si insidia nel non ammettere che i nostri scambi mentali hanno subito una trasformazione. Il modo in cui rendiamo noto qualcosa che ci piace, o forse no, ma che è comunque condiviso dagli opinioni leader, be’, è davvero speciale. Attraverso i social, il vero motore alla base di questa straordinaria rivoluzione, il meccanismo della comunicazione rende fluido ogni contenuto azzardato in esso.
E gli oggetti non assumono il valore senza la loro rispettiva sembianza digitale, unica e non standardizzabile. Resa ancora più straordinaria dalla follia che si nasconde, non troppo celatamente, dietro all’incarico dato dal nostro gradimento alle opere di autori sconosciuti, nati in provincia, cresciuti per strada o messi a lavorare tra le pareti di grigi uffici nei sottoscala, senza studi tecnici né specifiche competenze, ma probabilmente dotati di un talento che non sapevano neppure di possedere.
E il mercato delle criptovalute, per non tradire la sua stessa natura, ha dato sostanza a ciò che il mondo continuava erroneamente a considerare immateriale. Le criptovalute esistono in ragione delle valute ordinarie, infatti. Attraverso sistemi di cambio monetario è possibile ottenere dagli investimenti binari ricchezza reale, spendibile ciò materialmente.
Tutto ciò che sembrava assurdo, l’arte lo ha reso possibile. Ma se c’è qualcosa ancora di sospeso in questo processo di mercificazione dell’arte e di nuova industria culturale sta nel fatto che la produzione e la distribuzione di beni non avviene più su larga scala e non include quella che il filosofo Theodor Adorno, massimo esponente della Scuola di Francoforte, avrebbe chiamato indistintamente massa. La sua pacificazione, la finta identità di uguaglianza, non può essere raggiunta a questi standard. Tuttavia il filosofo nel sottolineare le tecniche di produzione del consumatore attraverso il controllo dall’alto dei mass media, oggi non si stupirebbe di riconoscere nei social strumenti di condivisione e di apprezzamento in grado di produrre domanda ancora prima dell’offera.
I social sono in grado di trasferire in modo esponenziale il messaggio che sta alla base di NFT come di qualsiasi altra modalità di elaborazione digitale. L’aulico, l’elitario, ciò che richiama al noblesse oblige, in questo caso appartengono solo a chi ha fiuto di sviluppare, anche con pochi euro alla mano, investimenti che si riveleranno di successo.
La voce NFT di Alessandro Baricco
«Qualcosa che resta sacro per sempre», così ha definito di recente Alessandro Baricco un’opera che diventa NFT. Baricco è il primo scrittore in Italia ad aver dato vita a questo connubio con la sua opera più famosa Novecento messa all’asta. Nella sua nuova veste digitale, un file di 80 megabyte, lungo 85 minuti, l’NFT Novecento. The Source Code è la trasposizione audio, elaborata con la sua voce, del romanzo che ha fatto il giro del mondo per approdare anche nel cinema e messo in vendita sulla rete Ethereum dallo scorso marzo.

Viene a crollare dunque un’altra fondamentale distinzione. In che modo si fruisce dell’opera d’arte? Servono ancora scaffali, pareti, cassaforti? Asssoutamente no. L’interiorizzazione dell’arte avviene tramite strumentazione digitale sempre connessa, sempre a portata di mano, attraverso smartphone o tablet o addirittura microchip. La parete, la casa, una cassaforte entro cui nascondere le opere d’arte, pagate anche milioni di dollari, restano intangibili, neomaterializzate, ma fruibili in ogni momento e, soprattutto, iperaccessibili.
Un cambiamento che fa del luogo dell’arte, della sua abitazione, qualcosa che non esiste più o che esiste in un mondo che incoraggia la visione dell’oltre pur tenendo ben distante ancora troppa gente.