di Elisa Mauro
Si sta facendo tardi e fuori c’è il futuro che ci aspetta. Almeno da 70 anni, dai primi scritti visionari di George Orwell, dal neomondo che si andava a sviluppare con la neolingua di cui ci arricchiva intanto la letteratura distopica. Sulla scia di questo padre e di tanti altri, negli anni ottanta nasce il cyberpunk, un movimento artistico e letterario in grado di produrre fantascienza con le parole, mondi alieni sulla terra e filosofie di vita alternative.

A partire dal 28 ottobre scorso il futuro si chiama Meta e sostituisce quel vecchio, e ormai obsoleto, catorcio di Facebook Inc., la società americana che controlla Facebook, Instagram e WhatsApp sviluppando in aggiunta visori di realtà virtuale Oculus Rift. Di derivazione letteraria, Metaverse (nome prodotto dal romanzo cyberscientifico di Neal Stephenson intitolato Snow Crash) è l’evoluzione del cyberspazio (Internet, ndr) di William Gibson elevato alla terza dimensione, alla realtà espansa, alla vita parallela. Insomma: si avvicina il mondo in cui poter essere senza essere, e agire attraverso proiezioni infinitesimali di noi, traduzioni in bit di cellule che attraversano spazi per interagire, lavorare, comunicare, dunque vivere.
Mark Zuckerberg, Eduardo Saverin, Andrew McCollum, Dustin Moskovitz insieme a Chris Hughes, controllano Meta e il suo nuovo ambizioso destino. Ma qual è il vero obiettivo di questa nuova organizzazione? «Negli ultimi decenni la tecnologia ha dato alle persone il potere di connettersi ed esprimersi in modo naturale», spiega Mark Zuckerberg in una lettera aperta e pubblicata il 28 ottobre. Il modo naturale a cui il Ceo di Facebook si riferisce è probabilmente la libertà con cui attraverso i social media (FB, in primis) abbiamo potuto commentare, polemizzare, condividere sentimenti, informazioni, porzioni della nostra vita, ma anche anche dati, foto di minori, foto di noi stessi in ogni situazione vissuta e dirette video pronte a essere incapsulate nel grande registro globale dei dati.

Quando nacque Facebook nel febbraio 2004 la scenografia era diversa da quella di oggi, si viveva principalmente di testo. I testi erano ciò che contava, informazioni e reputazioni cominciavano a diffondersi tramite i siti e i primordiali social networks. Condivisione e interazione erano le due parole chiave.
Con l’avvento dei nuovi smartphone dotati di macchine fotografiche integrate le cose sono cambiate. Da allora il mondo si può anche fotografare, registrare e vedere non solo scrivere e leggere. Come veri fotoreporter e filmmaker abbiamo costruito delle storyboard sulla nostra quotidianità condividendo con centinaia, migliaia di individui, anche sconosciuti, i nostri assetti vitali, le performance lavorative, gli affetti delle nostre case. Ma non basta, dice l’ex giovane della Silicon Valley. «La prossima piattaforma sarà ancora più immersiva. Questo lo chiamiamo il metaverso, e toccherà ogni prodotto che costruiamo. La qualità definitiva del metaverso sarà una sensazione di presenza – come fossi proprio lì con un’altra persona ma in un altro posto». In realtà, se di realtà vogliamo parlare, non si tratterà né di un’altra persona né di un altro posto. Perché a vivere, in questa mondo parallelo, sarebbero i nostri avatar, riproposizioni digitali del nostro aspetto esteriore, e i luoghi vivrebbero solo nelle tecnologie, nelle visioni ricostruite, negli ambienti virtuali. Non più tu, quindi, ma il tuo ologramma vivrà per te. Andrà a lavoro, gestirà gli affetti, comanderà e subirà la nuova società del futuro come nei migliori libri. Ma non sarai solo tu a scomparire, per riapparire diverso, in bit, scompariranno anche gli oggetti intorno a te. La tv la vedrai nel nuovo mondo, insieme ai videogiochi ai libri al cinema al teatro alla mostra alla chiesa. «Qui non si tratta di passare più tempo sugli schermi, si tratta di rendere migliore il tempo che già trascorriamo», rassicura il suo creatore.

E per convincerci a credere in questa nuova presenza-assenza della vita, Mark Zuckerberg rassicura che nel metaverso potremo fare e diventare tutto ciò che vogliamo, valore che una pandemia mondiale ha messo in evidente crisi. Potremo stare con chi vogliamo, anche se distanti, lavorare, apprendere, educare, elaborare e, dulcis in fundo, acquistare.
In questa vita parallela avremo negozi, boutique, studi medici, specialisti, ingegneri, architetti, personal trainer, coach, meccanici, idraulici tutti pronti a supportarci. In questo modo, data la grande rilevanza sul tema, ridurrai la tua impronta di carbonio, ti muoverai di meno, inquinerai di meno, provano a convincerci. E quasi ci riescono. Ma la privacy, che ruolo gioca la privacy in questa nuova realtà irreale? Spiega Zuckerberg: «Privacy e sicurezza devono essere integrate nel metaverso fin dal primo giorno. Anche gli standard aperti e l’interoperabilità. Questo richiederà senz’altro nuove forme di governance». Cambierà il mondo, cambierà soprattutto il modo di intenderlo, di studiarlo, di viverlo. Cambierà la governance, cioè la politica che gestisce la società. Cambierà l’essenza delle cose, il loro odore. Ci maschereremo di nuovi identità e non avremo più bisogno di dare importanza all’aspetto, alla magrezza, alle rughe. Saremo perfetti in una vita così. Saremo ciò che volevamo essere. Ma quando tutto questo cambierà, cosa ne sarà stato dell’amore? Si continuerà ad amare? Ad aiutare? A sostenere? A viverci l’uno dentro l’altro? O saremo disgiunti, staccati, paralleli, come quel mondo tanto ambito dai nuovi leader globali, da ragazzi maturati dall’idea di essere di immortali? Forse a questo si vuole tendere con Meta. A una vita che non sacrifichi più nulla. Neanche sé stessa. Magari in un mondo così continueremo a sentire al voce di avatar appartenuti a individui ormai deceduti, li cercheremo, ci interagiremo ancora, potremo sentirli al nostro fianco per sempre. O saremo noi stessi a essere ancora presenti nella vita dei nostri familiari. Un’idea allettante.
Con Meta, insomma, vivremo in una realtà in cui sapere di essere non avrà più molta importanza. Andremo sempre più avanti e cercheremo nuove strategie per affrontare una vita che diventa sempre più affollata e complessa. E chi non potrà? Gli esclusi in questi processi evolutivi in genere sono le persone indigenti, coloro che fanno parte di una cerchia sempre più larga ed estesa, ma anche gli anziani, i giovanissimi provenienti da contesti familiari difficoltosi, gli emarginati, i carcerati. Nel futuro che contano di far apparire in breve, esisterà ancora il mondo reale e in esso ci resteranno tutti loro, perché gli apparterrà. E potranno gestire direttamente la politica, la suddivisione delle ricchezze esistenti, se avranno ancora valore. Quando quelli-che-potranno saranno ormai immortali, il mondo sarà di quelli-che-non-potranno e forse allora ci sarà riscatto, ci sarà equità, e perché no ci sarà finalmente una più sana coscienza sociale.