Intervista a Valentini Petrini: il mio libro è amore e voglia di verità (per Taranto)

di Elisa Mauro

Non scegliamo noi di nascere e dove nascere, tantomeno dove crescere. Eppure siamo quel che siamo anche a causa del luogo in cui nasciamo e cresciamo.

(da Il cielo oltre le polveri, Valentina Petrini)

Valentina Petrini è la più vera esponente di un giornalismo d’inchiesta, accurato e autentico, che non si piega al potere. Nasce a Taranto ma si muove in Italia e nel mondo, anche in zone calde, come Mosul e Donbass, dove c’è il bisogno, e il dovere, di raccontare storie, di svelare movimenti di onde anomale che non appaiono così evidenti a occhio nudo.

Valentina Petrini è riconosciuta per articoli, servizi e inchieste che hanno segnato il giornalismo italiano e ne hanno fatto scuola. Poco più che ventenne lavora per L’Unità, lo storico quotidiano fondato da Antonio Gramsci, e qualche anno dopo appare in tv al fianco di Alessandro Sortino nel programma di La7 Malpelo che dedica proprio all’industria tarantina un lungo e dettagliato dossier sul male prodotto a discapito dell’ambiente e dell’uomo dal siderurgico più potente e grande d’Europa. È stata inoltre inviata della trasmissione Exit – Uscita di sicurezza (La7) per cinque stagioni.

Nel 2011 è finalista al Premio Ilaria Alpi grazie all’inchiesta La macchina del consenso, in cui ha raccontato gli intrecci tra ’ndrangheta, politica e sanità in Calabria.

Valentina ha realizzato servizi inestinguibili per la trasmissione Piazza Pulita entrando a far parte della squadra di Corrado Formigli e ha condotto innumerevoli programmi di successo, come, l’ultimo, Fake – La fabbrica delle notizie (dal 2019 in onda sul Nove), e nel 2016 Nemo – Nessuno escluso condotto al fianco di Enrico Lucci.

Nel 2016 vince il premio internazionale DIG Awards per il reportage Travelling with the refugees in cui la giornalista tarantina si finge profuga attraversando i Balcani a piedi.

Oggi Valentina Petrini torna a parlare delle sue origini, di Taranto, con un libro intitolato Il cielo oltre le polveri – Storie, tragedie e menzogne sull’Ilva ed edito da Solferino Libri: un’opera ricca di approfondimenti, di documenti utili alla comprensione analitica dei fatti gravitanti intorno al siderurgico pugliese, ma anche il racconto di storie di donne e uomini e bambini che si incrociano tra loro in cerca di speranza.

L’industria del lavoro, dell’inquinamento e della malattia

Taranto, la città dei due mari (jonici), con gli anni dell’industrializzazione selvaggia, diventa un dio bicefalo, indebolito dalla sua stessa avidità, ma d’altro canto di una bellezza indescrivibile, colma di cultura, di canti di sirene, di delfini, una città millenaria che nella sua memoria di bambina, come Valentina Petrini ci racconta nel libro, resta ancora incontaminata, innocente, perché all’epoca, innocente, lo è il suo animo. Ma da ragazza, poco più che adolescente, Valentina si accorge che il male si è diffuso a Taranto come un’epidemia, specie in alcuni quartieri dirimpettai del colosso siderurgico, quali Tamburi (la Spoon River, come è definita in Il cielo oltre le polveri), Statte e Paolo VI.

Questo male si è intrufolato velocemente nei corpi dei suoi abitanti e li ha modificati, indeboliti, in molti casi annientati. Ed è successo anche alle persone più care, di esserne colpite, come sua mamma Gianna. Da questa personale e faticosa esperienza Valentina intraprende la battaglia contro la parte più rappresentativa di quella città che la vede sola, a quei tempi, contro l’ombra di un gigante.

L’abbiamo intervistata e ringraziata per il suo infaticabile lavoro alla ricerca della verità.

Diciamocelo subito, Valentina: cosa è stato scrivere per te un libro come Il cielo oltre le polveri? E quali sono stati i tuoi sentimenti guida?

Liberazione, amore, voglia di verità. Ma non credo sia stata una necessità scrivere, piuttosto una spontanea evoluzione della mia carriera. Io nasco cronista, racconto le storie degli altri. C’è qualcosa di ciascuno di noi però nel dramma altrui. In questa storia c’è più di qualcosa di mio. Anzi, forse se non avesse riguardato la mia vita, questo lavoro semplicemente non sarebbe mai nato. Perché ho perso gli occhi a studiare migliaia di carte, documenti, seguire udienze, intervistare esperti, tradurre concetti scientifici. Non volevo fosse un lavoro superficiale. Solo emotivo. Qui dentro c’è tutto ciò che so della verifica delle fonti. E spero il lettore lo percepisca.

L’Ilva, a un certo punto della tua storia, comincia ad apparirti non più per il pane che dava ma per la vita che continua a togliere. Quando è cambiato tutto per te?

Devo confessare che io ho imparato molto dalle persone. Racconto nel libro della mia infanzia inconsapevole condizionata dal fascino delle tute blu e non dal dramma dell’inquinamento. Con il tumore di mia madre ho scoperto una Taranto che non conoscevo. Quando, anni dopo, per lavoro, ho cominciato a indagare sul rapporto tra i tumori e la mia città, mi sono accorta che mamma non era l’unica paziente a cui un medico aveva suggerito di allontanarsi da Taranto. Sia chiaro, lo spiego bene nel libro, non ho nessun elemento per dire che il tumore al seno di mamma sia certamente legato all’inquinamento. So che è uno di quelli per cui ancora oggi in letteratura scientifica non c’è una piena evidenza di un nesso causale con diossine, polveri, piombo e altre sostanze come c’è invece per altri tipi di tumore.

Ma quando ho iniziato a intervistare le persone, quando ho scoperto che c’era un pezzo di cittadinanza che si sentiva avvelenata, e allora anche io mi sono sentita così, e siccome non è detto che tutti coloro che si sentono avvelenati lo siano effettivamente, è importante stabilire un nesso di causalità tra gli inquinanti e le malattie. Ecco, lo Stato spontaneamente non l’ha mai fatto. E quando è intervenuta la magistratura anziché ringraziarla, ne è nato un contrasto senza precedenti. 

Valentina Petrini – Facebook ©

La toccante storia di Lorenzo e della sua famiglia è una delle storie che racconti con un tocco fraterno in Il cielo oltre le polveri e in cui la malattia di un bambino è il male di un’intera famiglia, e poi della società, e poi di tutto lo Stato. Hai avuto la capacità di partire dal caso singolo, unico, specifico, per farlo sentire di tutti. Continuano a esserci casi come quello di Lorenzo, che nascono e crescono e finiscono con patologie orrende a causa di questo scempio ambientale, cosa pensi che lo Stato avrebbe dovuto fare e dovrebbe continuare a fare per i tanti Lorenzo e per le loro famiglie?

Ho raccontato la storia di Lorenzo perché quella sensazione di essere stato avvelenato, se ti toglie tuo figlio, ti fa diventare pazzo. È un dolore pazzesco. Ma non credo in un processo, l’ho scritto, non penso che la colpa possa in qualche modo ricadere su un capo turno o un capo area. Qui parliamo di conseguenze di politiche economiche e industriali di 70 anni.

La storia di Lorenzo a me ha svelato l’enorme arretratezza nella ricerca del nostro Paese. I monitoraggi che si possono fare sulla popolazione per tenere sotto controllo l’evoluzione delle patologie. Quanto può essere determinante esaminare i dentini da latte, e le ricerche condotte in Ontario, in Canada, sull’impatto degli inquinanti nelle donne e nei bambini soprattutto che vivono nei pressi di complessi industriali. Lorenzo è un simbolo di resistenza. La breve vita di Lorenzo, grazie a Mauro, Roberta e Claudio, suo fratello, è stata piena d’amore. Spero di aver restituito anche questa parte del racconto.

I cittadini di Taranto hanno acquisito malattia e consapevolezza dell’inquinamento indotto dall’ex-Ilva quasi contemporaneamente. Ancora oggi però molti tarantini rifiutano questa correlazione innescando una battaglia, soprattutto social, come scrivi nel tuo libro, che vede contrapporsi chi è per la fabbrica e chi la vorrebbe chiusa per sempre. Oggi, che lo stabilimento tarantino si fa alzare e camminare per l’ennesimo miracolo, questa volta ad opera di Acciaierie d’Italia S.p.A., nonostante la sua evidente e irreversibile condizione di zombie, adesso, quindi, è più facile stare dalla parte giusta? O non c’è ancora una parte che ha più ragione di un’altra? 

Non c’è una parte giusta e una sbagliata. Non me la sento di dire che chi non vuole la fabbrica chiusa è dalla parte sbagliata. Lo sono i partiti e quei pezzi di sindacato che hanno ingannato e riempito la testa delle persone di promesse. Ma non gli individui. Il mondo è ancora indifferente davanti alla crisi climatica, nonostante sia gravissima e ormai quasi a un punto di non ritorno. È tutta colpa delle persone? No, per decenni la crisi climatica è stata nascosta e oscurata, le conseguenze dell’inquinamento non hanno mai occupato le prime pagine, non abbiamo creato consapevolezza. Non abbiamo fatto cultura ambientalista.

Cosa ci aspettiamo? Che di colpo si comprenda che stiamo morendo a causa dell’inquinamento e del riscaldamento globale? Purtroppo le distorsioni economiche pesano sulle comunità più di altro. Oggi bisogna velocemente invertire la narrazione. Mettere al centro cosa ci dicono in merito le evidenze scientifiche. Ma è compito dello Stato porle in luce. Finché ci aspetteremmo dalla popolazione cose che non le competono, resteremo delusi. La storia ci insegna anche che se l’uomo soffre, è economicamente debole e non può sobbarcarsi la montagna da scalare. Insisto, è compito nostro, di chi scrive, fa giornalismo, televisione aprire le menti, dare spazio ai problemi reali, e non quelli imposti dall’agenda setting. Però verso le nuove generazioni ho più aspettative. Loro possono, loro devono. A loro non perdonerei indifferenza e ignoranza. Sono figli di un’epoca in cui tutto è drammaticamente più chiaro ed evidente. Ho fiducia in loro.

Lo street artist Jorit dedica un murale a Giorgio Di Ponzio, il 15enne morto a Taranto per un sarcoma

Che cosa ha rappresentato l’Ilva e cosa potrebbe rappresentare ancora per i suoi cittadini e per tutti gli italiani?

Questo è un pezzo importante della storia d’Italia. Qui non si parla solo di Taranto. Non è  soltanto Taranto che deve cambiare, ma l’idea di progresso e sviluppo che vuole perseguire il nostro Paese. Aldo Moro, quando l’Italsider mollò gli ormeggi, annunciò 50mila posti di lavoro in 20 anni. Oggi 50mila posti di lavoro andrebbero annunciati nei piani di transizione ecologica, nella riconversione

Pochi giorni fa è stato l’8 marzo, Giornata mondialmente dedicata alle donne. Nel tuo libro sono loro le protagoniste di molte lotte.

Donne che con i loro corpi hanno smosso le acque, fatto rumore, esercitato il diritto, rivendicato la vita. Roberta Schinaia, per esempio, la mamma del piccolo Lorenzo. Annamaria Moschetti, la pediatra ostinata, Natalia Luccarelli, la moglie di Alessandro Morricella, il “colatore” morto bruciato vivo. Ce ne sono tante nel libro, fino ad arrivare alla giudice Patrizia Todisco che chiude con un’intervista che andrebbe letta nelle scuole. È lei che pone gli interrogativi aperti, validi per tutta la popolazione, non solo per i lavoratori del siderurgico. 

Valentina Petrini – Facebook ©

Cosa ancora non è chiaro di questa storia?

In questo bilanciamento dei diritti, la malattia e la morte di quante persone si può accettare che avvenga, o che possa avvenire, a fronte di un’attività produttiva che garantisce posti di lavoro ma si accerti essere causa di malattia e morte? Quale può essere il rapporto numerico tra i due termini del bilanciamento? Quanti esseri umani si può accettare che si ammalino e muoiano? In rapporto a quanti posti di lavoro? Ecco, a questi interrogativi non sono riuscita a trovare risposta nella sentenza della Corte Costituzionale che respinse le questioni di legittimità da lei sollevate davanti alla Corte contro il decreto governativo che riaprì l’ex Ilva dopo il sequestro. Dovremmo tutti fare nostre queste domande e pretendere risposte

Eppure in tanti continuano ad affermare, lo fece anche Riva in una delle sue ultime dichiarazioni pubbliche, che l’inquinamento di Taranto non è più dannoso di quello di qualsiasi altra grande metropoli italiana.

I gruppi industriali si nascondono dietro l’affermazione che le emissioni sono a norma. Ma forse bisognerebbe spiegare – e io lo faccio nel mio libro – che non tutto ciò che è dannoso per la nostra salute è vietato. L’Organizzazione mondiale della Sanità prevede valori di concentrazioni di salvaguardia per la salute molto più restrittivi rispetto a quelli consentiti in Italia. A Taranto si muore di inquinamento. A Milano si muore di inquinamento. A Roma si muore di inquinamento. Lo dicono gli organismi internazionali. Lo dice l’Agenzia europea per l’Ambiente.

Da un punto di vista scientifico, però, non è corretto paragonare Taranto con Milano o con Roma. Per fare delle comparazioni che abbiano validità statistica bisogna confrontare città dalle analoghe caratteristiche. E, infatti, negli studi scientifici il confronto è sempre tra Taranto e il resto della Regione Puglia. Tra l’altro, l’inquinamento di Taranto non è uguale ovunque. Una cosa sono le esposizioni di Tamburi, Paolo VI, Città Vecchia, Borgo, quartieri a ridosso del centro siderurgico, nonché di una raffineria, un cementificio, un porto, e diverso è il quadro di Talsano, dalla parte opposta della zona industriale.

Perché ci spieghi questo?

Perché nella guerra di verità spesso leggiamo o sentiamo di graduatorie in cui Taranto è descritta come il paradiso terrestre. Nulla ci autorizza a declassare per pericolosità l’inquinamento da traffico, o derivante da altri complessi industriali. E mi guardo bene dal farlo. Ma l’immagine di Taranto città virtuosa rispetto alle capitali del Nord Italia è impropria e strumentale

Le polveri di origine urbana sono differenti da quelle di origine industriale, diversa è la composizione del particolato e molto diversa anche la tossicità. Detto questo ripeto: non è una gara tra città inquinate. L’inquinamento è un cancro, sconfiggiamoli. Punto. E invece c’è ancora chi nega le malattie  e i decessi legati all’inquinamento, chi deride la causa ambientalista.   

Il cielo oltre le polveri: una giostra di tempi, luoghi ed emozioni

Ogni parola del libro di Valentina Petrini, lo stile sincretico che utilizza, che va dal distacco d’autore attraverso la descrizione della realtà altrui e l’analisi delle scritture tecniche, al riallaccio emotivo, con la realtà vissuta in prima persona, da cittadina, figlia, sorella, che è quella di quanti sono nati a Taranto, tutto di questo è un gran bel ceffone in pieno volto.

Leggere un libro come Il cielo oltre le polveri ti porta su e giù nel tempo, e nei luoghi più disparati, nei tribunali, nelle redazioni, nei reparti oncologici degli ospedali pubblici, nelle case popolari e operaie, e poi in una città sospesa su due mari, in mezzo alle generazioni della sua famiglia, a nonna Calliope e nonno Andrea, alle possibilità che rincorre una famiglia appena nata, a tutte le speranze. Valentina Petrini, con il suo ultimo libro, ci porta nel cuore delle persone che soffrono, che lottano e che amano senza fine.

Il cielo oltre le polveri – Il Tour


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2 pensieri riguardo “Intervista a Valentini Petrini: il mio libro è amore e voglia di verità (per Taranto)

  1. Complimenti 👏 articolo lungo e ricco twntobda far conoscere, a me che non la conoscevo, questa giornalista brava e scrupolosa. Si sono incontrate due donne intelligenti e contro, curiose e affamate di verità, specialmente su un argomento che vi tocca entrambi negli affetti più cari. Brave Valentina ed Elisa a darci contemporaneamente visione di voi due splendide donne.

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