Ci siamo rotti le balls
Chi vi parla è un qualunque cittadino, lontano dalla vita politica attiva, dalla frequentazione di circoli di partito putridi in cui si ha come l’impressione che pochi decidano il destino dei molti, trattati, a ridosso di qualsiasi tipo di elezione diretta, come utili idioti da manipolare per raggiungere obiettivi elettorali.
Non avevo titolo per votare a queste regionali, ma ho osservato, il prima, il durante e il dopo. Con di mezzo quel carrozzone di Sanremo e tutte le boiate andate in onda in considerazione del fatto che l’italiano medio, di base è analfabeta funzionale, si fa abbindolare facilmente dal giochino del panem et circenses e, come insegna la psicologia sociale, in momenti di grandi cambiamenti e grandi crisi nei quali i dindini in tasca non suonano più, ama gettarsi a braccia aperta nel non-luogo del non-pensiero, popolato dai vari Ferragnez, in grado di rendere la vita meno amara sulla scia di semplificazioni tanto becere quanto di infantilistico sollievo.
Fatto sta che il Sole 24Ore di oggi, sbattendo in faccia i dati dell’astensione ci racconta di territori, peraltro molto diversi tra di loro come Lombardia e Lazio, dove, da una parte, si reca a votare solo il 41,67% degli aventi diritto e, dall’altra, un miserrimo 37% con la punta massima di Roma che sprofonda al 33,11%. Praticamente, in media, solo 4 su 10 è andato ai seggi.
Chi ha vinto è la maggioranza di una minoranza
Inutile persino fare il paragone con il turno precedente perché ci sarebbe da sotterrarsi.
E sotterrati sono i partiti, i leader, i lor signori delle sedie vuote e quelli che quelle poltroncine tanto comode non sono riusciti a occuparle. Sott’acqua invece sono gli italiani cui non frega una beneamata del razzismo, del fascio-leghismo, dei diritti civili, del gender fluid, dei deretani twerkanti in prime time su Rai 1.
A turbare gli italiani sono l’inflazione, l’impennata dei prezzi, il caro materie prime, l’erosione del potere di acquisto, il costo del danaro, le rate più alte dei mutui, la pura del futuro, la guerra, le aziende che falliscono, persino il costo di pane e pasta.
Io sono italiano, sono cittadino medio, sono precario, sono nullatenente e, sebbene abbia sempre fatto attivismo sociale, sono stanco. Stanco di arroganza, di promesse mai mantenute, di fumo negli occhi, di presunte superiorità morali di una certa sinistra, di solidarismo col culo degli altri, di pauperismo, di perbenismo, di odio sociale, di identitarismo, di sfrenato liberal-individualismo.
Sono, io come i più, stanco di bugie e di gattopardismi mentre c’è chi muore di fame, chi non sa come curarsi, chi attende liste di attesa infinite e guarda allibito ai grandi paperoni come un troppo celebrato Gianni Agnelli che ha salvato la Fiat coi soldi dei contribuenti e ha bellamente traslocato capitali e società di gestione all’estero, senza restituire, se non a colpi di manodopera, quanto gli era stato dato.
Proprio ieri a margine del voto un’amica che vive a Milano pubblicava un sfogo che suonava più o meno così: ma non sarà che, per chi aderisce ai valori della sinistra, tutta questa pretesa superiorità di quella sinistra, i diritti a corrente alternata, quel certo moralismo e terzomondismo, il votiamo il meno peggiore turandoci il naso abbia fatto il suo tempo?
Non sarà che l’agone politico non può essere affrontato solo a partire dal contro?
Andare contro Berlusconi, andare contro i fasci, l’Italia non si Lega, è una pura idiozia. È il riflesso lampante della mancanza di visione, di un’idea di mondo alternativa a quella osteggiata, agli underdog, che tanto underdog non sono più. Sono al governo centrale e occupano Regioni, Province e Comuni. Fanno disastri diplomatici e legislativi da pivelli (come se non stessero in parlamento da oltre una decade) e di underdog restano loro solo le infime capacità gestionali, le imprudenti e arroganti dichiarazioni parlamentari, i disastri di politica estera, e tutto il resto del cucuzzaro che è possibile verificare su qualsiasi fonte di informazione.
Ora, i punti sono almeno tre.
Primo
Dato che, nella vulgata popolare, i Fratelli e le Sorelle d’Italia, pur pieni di transfughi e volpini della buonora e del giorno prima, restano gli unici a non essere passati dalle forche caudine dei governi, allora diamo loro la possibilità di provarsi. Questo è il ragionamento che sento nelle tante chiacchiere da bar dei tanti che ieri votavano il Cavaliere e oggi spasimano per Donna Giorgia.
Secondo
Comunque vada tutto cambierà, se cambierà, affinché tutto resti uguale. Che cosa vale il mio voto, se non la semplice noia e fatica di dovere pure trovare parcheggio per andare al seggio?
Terzo
I pochi fortunati che ancora si sentono rappresentati sono quelli che frequentano meandri identitari ferocemente caratterizzati o dalla smania di tornare al potere, o per essere stati ai margini delle stanze che contano, e attendevano, con un certo revanscismo, il loro momento di gloria, quello del loro movimento, della loro storia identitaria, o degli interessi che rappresentano.
Il vero problema dei vincitori sarà la carica di derelitti, incompetenti, faccendieri, disonesti, eminenze grigiastre (sarà divertente vedere la spartizione di potere in Lazio dove proliferano personaggi implicati negli scandali più grossi che investirono la Regione e il Comune di Roma ai tempi di Alemanno, Storace e Polverini) pronti a spartirsi nomine, deleghe, poltrone.
Come se d’altronde a sinistra, un po’ ovunque, scandali e sciacalli non ci fossero mai stati. Attendiamo ancora fiduciosi qualche parola in più di D’Alema sulla penosa vicenda di compravendita di armi in Colombia.
Il resto degli elettori si sente abbandonato, incompreso, inascoltato da diverso tempo. Chi è capace di parlare oggi con forza e autorevolezza, dei temi legati al lavoro, alle relazioni industriali, al precariato? Eppure quell’albero che cade in una foresta solitaria, a margine del fatto che non venga sentito da orecchio umano, il rumore lo farà e come. Se la fisica si basa su dati oggettivi, quella del (non) voto segue la stessa logica. Che ci sia qualcuno ad ascoltarla o meno.