Dallo scorso 8 febbraio la Costituzione contiene importanti novità: secondo il nuovo dettato ”La Repubblica […] tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.
Si tratta dell’approvazione in via definitiva del disegno di legge di riforma costituzionale che eleva a rango costituzionale la tutela dell’ambiente. Una modifica storica e importante tesa a incardinare in Costituzione la tutela dell’ambiente (in tedesco natürlichen Lebensgrundlagen) come valore e non solo come res, ivi compresa la tutela degli animali sottoposta a riserva di legge.
I DETTAGLI DELLA RIFORMA
La riforma cambia gli articoli 9 e 41, modificando il primo articolo per come – parzialmente -riportato sopra e ponendo dei paletti alla libertà di iniziativa economica privata, da realizzarsi nel rispetto dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi.

Per quanto la modifica sia stata bollata da alcuni come poco coraggiosa – sarebbe stato più incisivo modificare l’articolo 3 che il 9, con una formulazione che imputava alla Repubblica la rimozione di tutti gli ostacoli che impediscano il pieno sviluppo della persona come individuo e nelle formazioni sociali – , la costituzionalizzazione rafforzata della tutela dell’ambiente rappresenta un passaggio storico e giuridicamente importante. Non è qualcosa che è spuntata come un fungo da un giorno all’altro, ma piuttosto la nuova tappa di un processo di armonizzazione legislativa di livello europeo che parte da lontano e trova i suoi illustri precedenti nella Carta di Nizza (art. 37) e nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (art. 191).
Non è un caso che l’Italia se ne sia occupata recentemente, all’alba di questa era vocata alla transizione ecologica che chiama l’Europa a riconvertire non solo le proprie fonti di approvvigionamento energetico, ma l’intera struttura delle economie dei propri Stati membri.
La modifica costituzionale arriva a valle di una serie di pronunce della Corte Costituzionale (particolarmente rilevanti le sentenze 182/2017 e 58/2018 con cui la Consulta aveva vagliato la legittimità di uno dei numerosi decreti Ilva e aveva respinto il ricorso della Regione Puglia volto a censurare la carenza di adeguate forme di partecipazione dell’acciaieria alla revisione del Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria) che hanno stabilito la necessità di un ragionevole ed equilibrato bilanciamento dei valori costituzionali di iniziativa economica, lavoro e salute.
La riforma rappresenta un primo passo che, entro qualche anno, produrrà effetti e metterà la magistratura nella condizione di perseguire con maggiore efficacia azioni, comportamenti, condotte in contrasto col nuovo valore dell’ambiente. La sua costituzionalizzazione produrrà una serie di sentenze a partire da quelle della Corte Costituzionale che contribuiranno a rendere vivente questo principio e a fornire indirizzi e chiarificazioni sul senso che la norma acquista nella nostra di vita di tutti i giorni, da semplici cittadini o da imprenditori.
COSA SUCCEDE IN EUROPA
Tutte le Carte dei 27 contengono, in maniera più o meno dettagliata, norme a tutela dell’ambiente, spesso inserite in sede di revisione per aggiornare Costituzioni vergate nel Dopoguerra e prive di una particolare attenzione alla protezione ambientale. Così è stato per l’Olanda nel 1983, per la Germania nel 1994 e per la Francia nel 2005 che ha addirittura dedicato una corposa parte del Preambolo della sua Carta.

La tutela dell’ambiente è stata declinata attraverso diverse formulazioni che, come argomenta l’apposito Dossier 396/2021 del Senato, richiamavano ad ambiti specifici del diritto:
- un principio programmatico e quindi un obiettivo dell’azione dello Stato;
- un diritto all’ambiente salubre, quale diritto soggettivo individuale, direttamente azionabile e oggetto di tutela giurisdizionale;
- un diritto fondamentale all’ambiente, a sé considerato (come nella Carta estone) ovvero parte di un più comprensivo diritto (alla dignità umana, in Belgio, o alla salute);
- un diritto-dovere da seguire e assolvere e ispirato al principio del chi inquina paga (come in Francia);
- un richiamo alla responsabilità verso le generazioni future;
- una specifica menzione alla tutela degli animali (come in Lussemburgo dopo revisione del 1999, in Germania dopo revisione del 2002, in Slovenia).
Questo ci mostra che a livello Europeo è in atto un processo di standardizzazione delle fonti primarie dei diritti nazionali volto a dare massima e omogenea rilevanza giuridica alla tutela dell’ambiente: elemento fondante di quello sviluppo sostenibile contenuto nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, e nel più recente Green Deal, che è «profondamente radicato nel progetto europeo», come recita il Documento di riflessione verso un’Europa sostenibile entro il 2030.

L’incardinamento del valore ambiente nelle Costituzioni Europee ha reso gli individui e le formazioni sociali titolari di un diritto soggettivo di rango costituzionale che può essere azionato e che ha prodotto, in alcuni Paesi, i primi risultati: a parte il Regno Unito, formalmente fuori dall’UE, dove le battaglie in tribunale di cittadini e portatori di interesse hanno portato all’adozione di una Ultra Low Emissions Zone, la Germania ha costretto le città tedesche a introdurre restrizioni su veicoli diesel e altre misure di mobilità. Si spera che questo avvenga presto anche in Italia che, con i suoi 50.000 decessi prematuri legati all’inquinamento atmosferico, risulta tra i Paesi peggiori, con sforamenti di tutti i valori limite e le città più inquinate d’Europa.
TRA IL DIRE IL FARE
Sappiamo però che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. A questo proposito i dati rilasciati dall’Agenzia Europea per l’Ambiente ci raccontano di un’Europa che deve affrontare molte criticità. Nella nuova mappa 2021 della qualità dell’aria urbana, ad esempio, emerge che il particolato fine PM2.5 (le particelle di polvere più fini e più dannose che dai polmoni possono entrare in circolo e danneggiare tutti gli organi del corpo) supera le concentrazioni medie annuali cinque volte di più rispetto alle raccomandazioni OMS.
In questo quadro, Cremona, Vicenza, Brescia e Pavia, tutti centri della Pianura Padana, risultano tra le dieci città più inquinate d’Europa. E non è un mistero quanti e quali danni producano non solo i comportamenti sbagliati dei cittadini, ma soprattutto di tante imprese che negli anni hanno trafficato – e continuano a farlo – con lo smaltimento di rifiuti tossici sversati un po’ ovunque nel territorio italiano, da Nord a Sud (di terre dei fuochi è piena l’Italia).

Se andiamo poi a guardare i dati rilasciati dall’Agenzia Europea per l’ambiente che analizza per gli anni 2013- 2018 (la più recente in materia) lo stato di conservazione degli habitat naturali, i dati che emergono non sono confortanti: il 35,8% dei territori europei versa in un pessimo stato, mentre si registra un basso livello di preservazione in quasi la metà dei territori analizzati (44,9%). Solo il 14.7% si assesta ad un livello definito buono.
Nella classifica Belgio, Danimarca, Lettonia e Italia occupano gli ultimi posti, mentre tra gli Stati più virtuosi ci sono Romania, Estonia, Grecia e Cipro. Siamo dunque ancora ai piedi della salita.
IL RUOLO DEGLI OPERATORI ECONOMICI (E DEI CITTADINI)
Come fare allora a garantire che la riforma approvata non diventi lettera morta? E come promuovere cambiamenti in grado di preservare la vita per le generazioni future? Nel 2011 il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite ha adottato all’unanimità i Principi Guida su Impresa e Diritti Umani (GP), che costituiscono lo strumento operativo del Quadro ONU Proteggere, Rispettare e Rimediare per le Imprese e i Diritti Umani.
L’Italia è uno dei nove Paesi a essersi dotati finora di un Piano d’Azione Nazionale sul tema inaugurando il Primo Piano di Azione Nazionale 2016-2021 che rappresenta uno degli strumenti per il conseguimento dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, nelle sue tre dimensioni – economica, sociale e ambientale. E infatti tra le sei priorità su cui si fonda troviamo la promozione della protezione e della sostenibilità ambientale.

È dunque lo stesso Piano di Azione che inserisce la tutela dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile come estensione dei Diritti Umani e obbliga lo Stato a rispettare, proteggere e attuare i diritti umani e le libertà fondamentali, stabilendo al contempo la responsabilità delle imprese di evitare impatti negativi e, ove si siano verificati, di rifondere il danno.
Il Piano stabilisce anche che particolare rilievo assumono le iniziative governative in materia di green economy, condotte dai Ministeri dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e dello Sviluppo Economico lanciate con un approccio multistakeholder, ossia coinvolgendo centri di ricerca nazionali, università, imprese ed associazioni ambientali nazionali ed internazionali per contrastare l’inquinamento, i cambiamenti climatici e la dipendenza da fonti fossili.
Tali avanzamenti legislativi hanno fatto in modo che, negli ultimi anni, emergesse, da parte di cittadini e organizzazioni, la tendenza a utilizzare il sistema giuridico europeo di protezione dei Diritti Umani come strategia e strumento per affrontare le questioni ambientali: la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, la Carta Sociale Europea e la Convenzione di Berna sulla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa sono state spesso impugnate con buon successo.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha deliberato su circa 300 casi relativi all’ambiente, applicando concetti come il diritto alla vita, la libertà di parola e la vita familiare a numerose questioni, tra cui l’inquinamento, le calamità naturali o provocate dall’uomo e l’accesso alle informazioni ambientali, solo per fare un esempio.
E allora la saldatura tra diritti e valori ormai costituzionalmente garantiti, strumenti come i piani di azione nazionali su impresa e diritti umani che mettono gli operatori economici di fronte a responsabilità di cui non possono più lavarsi le mani, trattati internazionali, approccio multistakeholder e intersezionalità rappresentano la chiave per effettuare azioni congiunte e incisive tese a dare sostanza al nuovo valore.
Questo significa che non basta scrivere una riforma perché i princìpi in essa contenuti diventino viventi, ma che occorre anche e soprattutto che cittadini, attivisti, imprese, centri di ricerca svolgano un ruolo attivo di pungolo per un ambito dell’innovazione sociale da cui dipende la sopravvivenza nostra, del pianeta e delle generazioni che verranno.