«IO AMO LA VITA»

VITA

/vì·ta/ sostantivo femminile: Forza attiva propria degli esseri animali e vegetali, in virtù della quale essi sono in grado di muoversi, reagire agli stimoli ambientali, conservare e reintegrare la propria forma e costituzione e riprodurla in nuovi organismi simili a sé. 

«In virtù della quella [essi] sono in grado di muoversi, reagire agli stimoli ambientali, conservare e reintegrare la propria forma e costituzione». 

Ieri, 15 febbraio 2022, i 15 giudici della la Corte costituzionale, riuniti in camera di consiglio, hanno discusso, tra l’altro, sull’ammissibilità del quesito referendario incentrato sulla depenalizzazione della fine vita del consenziente e lo hanno dichiarato inammissibile. In attesa di conoscere i dettami della sentenza, l’ufficio comunicazione della Consulta fa sapere che «a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili».

La vita umana è fatta di azioni agite nei confronti del mondo esterno, e di ricordi, sensazioni, sentimenti e una variabile, ancora non del tutto definita e circoscritta, di forze interiori che smuovono ideali e processi evolutivi dell’essere umano. La dignità è una di queste: con i suoi flussi di coscienza, e di autocoscienza, spinge la maggior parte delle nostre motivazioni a rendersi reali, fondamentali per la vita che viviamo.

Il valore della dignità umana, intrinseco a quello della sua stessa vita, trova la sua scena principale nel costituzionalismo del Novecento e in esso diventa principio, vero e proprio diritto umano da salvaguardare. Nella nostra Costituzione la dignità appartiene ancora alla sfera sociale. Esulando dall’indefinibile introspezione, quindi, l’uomo vive all’interno del corpo comunitario rispettando le regole, i doveri e contemplando i propri diritti.

Dall’uguaglianza sostanziale tra cittadini, al principio solidaristico fino al principio sul lavoro, questa nostra dignità, così violata durante i totalitarismi e le guerre, con il costituzionalismo, primogenito delle stesse guerre, diviene «lo spirito e l’essenza dell’intera Costituzione», promozione e garanzia della libertà individuale, della persona data in un certo contesto e in un determinato tempo. 

Dichiara la nostra Costituzione, all’art. 2, «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità». I diritti inviolabili, insieme alla dignità umana, sono elementi imprescindibili della persona, nascono con lei, la evolvono e la finiscono. Ma pur finendo, in molti casi, proprio grazie a quella dignità, spesso paladina di battaglie e di rivoluzioni, si è arrivati ad esistere oltre la stessa fine.

I diritti e la dignità umana, anche nella sua accezione sociale, sono chiaramente antecedenti allo Stato, alla Costituzione, alla Corte costituzionale. I diritti, la dignità sono soltanto riconosciuti dallo Stato, non di certo attribuiti, perché preesistenti ad essi ed esistenti insieme all’uomo. 

Nel dicembre 2017, con l’entrata in vigore della Legge 219 il 31 gennaio 2018, il testamento biologico o biotestamento è regolamentato finalmente dal nostro diritto. Si tratta della prima legge, votata a larghissima maggioranza dal Parlamento, sulla disposizione anticipata di trattamento (DAT), uno strumento che permette di chiarire le nostre decisioni sulle terapie mediche cui vogliamo o non vogliamo sottoporci nel caso, anche, non fossimo più in grado di esprimere una scelta consapevole. Uno strumento valido, perfezionabile senz’altro, prezioso, ma non del tutto riconosciuto in Italia. Nonostante siano trascorsi quattro anni dalla sua legittimazione, operatori sanitari, cittadini e malati sono vittime di retaggi culturali e religiosi che continuano a confondersi e non conoscersi realmente. 

Per qualsiasi essere umano, in ogni caso, malato, che non considera più la sua vita dignitosa l’agonia di quella esistenza diventa sacrificio, punizione, una tortura senza fine. 

Bocciare un quesito, una domanda da porre ai cittadini, è svilente per il senso ultimo di questa democrazia allattata – in evidenza – da prelati senza seno. Lo Stato è libero, laico, democratico. Lo Stato vive delle dignità dei singoli, del loro lavoro, dei loro doveri. Ma anche dei loro diritti inviolabili. Per noi vivere è attraversare. Ma per alcuni, in questo momento, è non vivere, non morire, costretti in un purgatorio, nel dolore che non appartiene a nulla di umano e che ha tutto il diritto di trovare finalmente la sua pace.

eutanaṡìa s. f. [dal gr. εὐϑανασία, comp. di εὖ «bene» e tema di ϑάνατος «morte»]. – 1. Nel pensiero filosofico antico, la morte bella, tranquilla e naturale, accettata con spirito sereno e intesa come il perfetto compimento della vita. 2. Morte non dolorosa, ossia il porre deliberatamente termine alla vita di un paziente al fine di evitare, in caso di malattie incurabili, sofferenze prolungate nel tempo o una lunga agonia; può essere ottenuta o con la sospensione del trattamento medico che mantiene artificialmente il paziente in vita (epassiva), o attraverso la somministrazione di farmaci atti ad affrettare o procurare la morte (eattiva); si definisce volontaria se richiesta o autorizzata dal paziente. TRECCANI

[Elisa Mauro]

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