Leadership e potere: tra malintesi semantici e inganni storici

Una delle skills più richieste in ambito professionale, uno fra i termini più usurati nelle narrazioni di presentazioni aziendali, nelle brochure, sui bigliettini da visita, sui website e, senza dubbio, prima di ogni cosa, la più ambita capacità umana: è la leadership

Ma cosa significa davvero la parola di origine anglosassone leadership? E, soprattutto, quando parliamo o scriviamo, la utilizziamo nel modo più corretto? 

Purtroppo, in moltissimi casi, no. Si ritiene erroneamente la leadership come il talento di chi comanda, di chi primeggia sugli altri. In realtà, questo talento è tutt’altro, è soprattutto molto di più di qualcosa che riguarda l’autorità. 

Leadership è la capacità di guidare un gruppo di individui, in ambito aziendale o sociale, politico o spirituale, verso chiari obiettivi prefissati con modalità specifiche che nulla hanno a che vedere con la sopraffazione e con la superiorità.

Guardati intorno. Tra le più importanti sezioni della tua vita, in famiglia, a lavoro, tra gli amici, in un semplice ritrovo tra conoscenti, il leader, quando ce n’è uno, lo riconoscerai da queste semplici caratteristiche: 

  • ascolta,
  • media gli incontri,
  • è promotore di una dialettica e di un confronto positivi,
  • non sovrasta, né impone,
  • alimenta un clima di armonia e fiducia reciproci,
  • incarna e trasmette i valori della comunità che rappresenta,
  • non si ferma alla teoria, ma è in grado di essere pratico, di “sporcarsi le mani”

Non solo. Il leader è anche colui che sa insegnare e trasmettere il suo saper fare al gruppo, per far crescere altri leader, per formarli, non come futuri capi, ma come future guide. Chi possiede leadership sa che niente può restare per sempre, se la conoscenza delle cose non viene trasmessa e resta in un solo sacco a marcire. Il vero leader ha compreso la finitezza del sé – se lasciato agire da solo – e la compiutezza di sé in relazione agli altri, grazie a ciò che possono offrire per accrescere i loro bagagli, per renderli coraggiosi, fiduciosi e più abili.

La psicologia cognitiva*, in particolar modo, ha dedicato moltissimi testi all’elaborazione di una definizione esaustiva e completa del termine leader. Ma ciò che ne è derivato nel corso dei decenni e dopo centinaia di studi e di esperimenti sociali e antropologici, è che esiste una variegata popolazione di leader e ognuno di loro con caratteristiche ben precise.

Ragionamento, percezione, sensibilità e, non ultima, decodifica corretta delle informazioni e delle conoscenze ricevute sono tutte caratteristiche in grado di guidare un vero leader nella reale e concreta messa in opera delle sue azioni quotidiane. Mentre empatia, intesa come capacità di osservazione interiore sugli altri, saggezza, competenza e dedizione al gruppo restano elementi indelebili legati alla sua figura. Un leader per dirsi tale infatti non può dimostrarsi – né essere – individualista.

Il leader ragiona per molti, non per uno, ma per tutti quelli che compongono il gruppo in cui lavora, opera, gioca, canta, balla, prega. 

Gli opinion leader, ad esempio, sono coloro che sono in grado con queste specifiche caratteristiche derivanti tutte da personalità, da vissuti e da formazione, di guidare l’opinione pubblica o di un gruppo molto folto di individui a livello sociale, politico o di costume. Quanto un opinion leader riesca a influenzare questa gente è un chiaro obiettivo di ricerca per moltissimi studiosi da diversi anni a questa parte. Ma il problema di inquadramento di queste figure è ancora tutto da scoprire e i vari fallimenti compiuti in materia non sono dovuti alle metodologie applicate di ricerca o ai ricercatori stessi, quanto alla difficoltà di concettualizzare una parola che da quasi subito è stata elaborata in modo errato e impiegata anche peggio. Ecco che ne deriva la massima confusione.

Quante volte ci è capitato di leggere storie di aziende che si spacciano leader in qualcosa? Ma cosa guidano, in realtà? Gli stessi competitors? Impossibile. Quindi forse vorrebbero intendere altro, vorrebbero farci capire che sono sopra qualcuno, sopra tutti i restanti competitors presenti sul mercato.

I leader non sono necessariamente i potenti, anzi, nella maggior parte dei casi i leader della storia non sono affatto potenti. Basti ricordare personalità come Gandhi, Madre Teresa di Calcutta, Martin Luther King, Malala Yousafzai, Nelson Mandela, Aung San Suu Kyi e la piccola grande Greta Thunberg.

Martin Luther King

Filosofo, politico e avvocato Gandhi è riconosciuto come Padre della Nazione e al 2 ottobre, giorno della sua nascita, le Nazioni Unite hanno dedicato la Giornata internazionale della non-violenza. Questo uomo, senza alcun potere, riuscì a contrastare chi dominava, chi era al comando, in difesa della battaglia più difficile da vincere: la libertà.

Mahatma Gandhi

La leadership di Gandhi consiste nella sua tenacia, nella consapevolezza della sua conoscenza al servizio della umanità che rappresentava, ma anche nell’ascolto, nella contemplazione delle pluralità. Grazie a tutto questo Bapu riuscirà con il satyagraha (la disobbedienza non violenta) a ottenere l’indipendenza del suo paese: l’India. Ma il Mahatma non è il solo leader al mondo a essere anche privo del minimo potere politico, sebbene in grado di smuovere le masse.

Un’altra figura che richiama indubbiamente il concetto più eversivo di leader è Madre Teresa di Calcutta, una suora proveniente dalle massacrate terre del Kosovo. 

La sua vita è stata al servizio dei poveri, dei malati, degli emarginati. Secondo Madre Teresa: «essere rifiutati è la peggiore malattia che un essere umano possa provare», per questo dedica la sua lunga vita alle buone missioni di pace, di conversioni, di aiuti umanitari. È sulla base della dignità di ogni persona che la sua missione si compie, contrastando i potenti, i sistemi economici, i soprusi delle oligarchie al potere, le macchine delle lobbies che impantanano la civiltà.

Madre Teresa di Calcutta

Aung San Suu Kyi ha dimostrato come si possa essere davvero leader affrontando chi comanda: una spietata dittatura militare come quella birmana. Dal carcere, in cui fu imprigionata, riuscì a vincere le elezioni del 1990 conquistando l’81% dei seggi. I potenti al comando non accettarono la vittoria e non cedettero di un passo. Quando però riuscì a prendere il potere sperato, Aung San Suu Kyi perse contestualmente la leadership. Tra le accuse che le furono mosse, soprattutto a livello internazionale, vi fu quella di essere stata poi accondiscendente con i militari, negando il genocidio di cui si macchiarono.

Aung San Suu Kyi

Tre leader di più recente ascesa sono Alicia Garza, Patrisse Cullors e Opal Tometi, le tre fondatrici di Black Lives Matter, la catena umana nata per opporsi al sopraggiunto razzismo del nuovo millennio e contro le violenze dei poliziotti bianchi nei confronti di cittadini afro-americani. Le tre donne, diffondendo il loro obiettivo, la missione, il sapere fare, comunicando in breve tempo, sono state in grado di compiere un sovversione importante nel sistema di controllo della autorità di polizia in America.

Alicia Garza, Patrisse Cullors e Opal Tometi, fondatrici del movimento antirazziale #blacklivesmatter

Leader è, si è visto, colui che sa rendersi presente tra presenti, e attivo tra attivi. Non è meglio di nessun altro. È semplicemente in grado, più di ogni altro, di guidare le attività del gruppo preposte a un obiettivo specifico, a maturare la morale comune, a scrivere il codice deontologico alla base di qualsiasi formazione sociale, fosse nata anche solo per obiettivi ludici.

Chi gestisce il potere, in modo autoritario, non può essere definito correttamente un leader. Chi gestisce il potere è chi sta sopra, non in mezzo, come un vero leader. Chi gestisce il potere è un eletto, con la propria o altrui volontà, è chi comanda, non chi guida, è chi determina scelta, non chi la elabora insieme agli altri.

Malala Yousafzai, giovane attivista pakistana e premio nobel per la Pace, parla all’Onu sul diritto all’istruzione

[Redazione]

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