Pippa Bacca, l’artista sposa che amava il mondo

di Elisa Mauro

La nostra religione ha definito il posto delle donne nella società: la maternità – Recep Tayyip Erdoğan 24 novembre 2014 al Convegno su Donne e Giustizia, Ankara

Dio è ovunque, anche nella parola femminicidio, ma non basta per accettarlo. Le donne abusate e uccise per mano di uomini crescono indiscriminatamente come fossero una creatura a parte, da nutrire di odio e violenza ogni giorno. Ma quando inversione di rotta ci sarà è perché anche la cultura sarà cambiata. Il mondo, allora, avrà accettato l’autonomia di una donna, in ambito lavorativo ma anche familiare e nelle relazioni umane.

Ci sarà indipendenza dai pregiudizi patriarcali, dalle norme che fanno tuttora della donna rintanata nella sola questione casalinga e di custodia dei bambini, che crescono nella stessa cultura, senza evolversi da chi li precede, per farne un filo rosso continuo e interminabile di cui non vediamo ancora fine.

I dati diffusi dal Ministero dell’Interno sugli omicidi passionali, o di genere, sono allarmanti e mostrano un quadro che farebbe rabbrividire chiunque, tranne gli assassini. 

Una donna che incarna alla perfezione l’ideale di autonomia e realizzazione femminile, e che vogliamo ricordare nel giorno dell’anno che ci vede uniti contro la violenza sulle donne, è Pippa Bacca, una delle più importanti artiste performative italiane. 

Pippa Bacca in Spose in viaggio, marzo 2008

Milanese, di nobili origini e nipote d’arte, suo zio era Piero Manzoni, Pippa, all’anagrafe Giuseppina Pasqualino di Marineo, aveva intrapreso con la sua arte un percorso profondo di esplorazione del mondo. La fiducia negli esseri umani e la sua incontrastata libertà la condussero a ricreare un’esperienza artistica davvero unica. 

Spose in viaggio è la sua più importante performance itinerante. Pippa, con questa, intendeva raggiungere undici diversi paesi, terre di guerre e conflitti, con in dosso un abito da sposa che l’avrebbe condotta infine, se Dio avesse voluto, a Gerusalemme. Nel suo progetto aveva scelto di rappresentare il simbolo che meglio di altri poteva trasmettere fiducia nel futuro: la sposa.

L’idea nacque al matrimonio di Margherita, una sua amica, che quel giorno «ripeteva spesso agli ospiti di stare attenti a non calpestare lo strascico o altre parti dell’abito» perché altrimenti si sarebbero insudiciate. Fu strano per Pippa rivolgere così tanta attenzione a un involucro che vive solo un giorno e che invece avrebbe potuto avere un significato più alto, di riscatto, di autonomia attraverso la sua arte.

Pippa Bacca in Spose in viaggio, marzo 2008

E così che l’abito entra in scena nella sua performance adattandosi a un viaggio complesso pieno di incognite, di incontri fra sconosciuti e incredibili relazioni umane. Anziché durare un solo giorno, quell’abito diventa carne di un’esperienza duratura e s’impregna non solo di sudore e sporcizia ma anche di ricordi e sensazioni umane. La guerra che ha regnato a lungo nei posti designati da Pippa Bacca è l’esatto contrario di un abito da sposa, il contrario di una stessa sposa, di un rito di unione e di gioia con il mondo. E Pippa voleva questo: sposarsi col mondo.

E se il mondo, il suo sposo cioè, inizialmente si mostrò tenero, accogliente e ospitale, dopo pochi giorni divenne ostile, violento e assassino e l’avrebbe depredata persino delle sue macchine fotografiche per utilizzarle a un matrimonio prima di essere catturato e arrestato. 

Il viaggio fu inaugurato l’8 marzo 2008, il giorno dedicato a celebrare le donne in tutto il mondo. Insieme alla sua amica artista Silvia Moro, intraprendono il percorso in autostop per Slovenia, Croazia, Bosnia, Bulgaria per raggiungere la Turchia. La loro meta è Gerusalemme per portare un ultimo messaggio di pace ai due popoli che sono da sempre in guerra tra loro: israeliani e palestinesi.

A Instanbul le due amiche decidono di intraprendere parte del loro viaggio separatamente. La life experience che ne deriva è documentata con foto e video e il tutto condiviso sul blog di Pippa e tramite i suoi canali ufficiali. La gente ne parla. Anche e soprattutto all’estero. 

Queste donne, “da sole”, vestite come fossero spose di sé stesse, libertine e fanatiche, in giro di giorno e di notte, in paesi disumanizzati spesso dai conflitti, in paesi che basano la loro stessa legge sul radicalismo, hanno raccontato, finché hanno potuto, come si può essere un mezzo di elaborazione creativa vivendo il mondo come fosse uno sposo.

Ma, come in troppi casi, questo matrimonio termina nel modo più tragico e disumano. Il 31 marzo a un passo da Instanbul, a Gebze, il turco Murat Karatas accetta di dare un passaggio all’artista milanese. Dopo poco, la violenta e la uccide barbaramente. Con la sua macchina fotografica Karatas nei giorni a seguire riprende e fotografa le scene di un altro matrimonio (il filo rosso che si ripete un’ultima beffarda volta), di un’altra sposa: sua cugina.

Quella di Pippa, e di tutte le donne che amano, è una maratona di pace, un cammino profondo di fiducia e liberazione. Per questo il ricordo di Pippa oggi è forte più che mai. La sua arte contemplata e compresa ancora più a fondo come si fa con le cose migliori a questo mondo quando svaniscono per sempre. 

Ballata delle donne, di Edoardo Sanguineti, oltre a essere una della più belle poesie del nostro Novecento, è il mezzo di cui si serviva Pippa per spiegare a giornalisti e intenditori l’audace progetto di Spose in viaggio.

Quando ci penso, che il tempo è passato,
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia.

Quando ci penso, che il tempo è venuto,
la partigiana che qui ha combattuto,
quella colpita, ferita una volta,
e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace.

Quando ci penso, che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa, che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.

Perché la donna non è cielo, è terra
carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente.

Femmina penso, se penso l’umano
la mia compagna, ti prendo per mano.

Anche Giovanna d’Arco, brano di De Andrè del 1974, è stato utilizzato dall’artista performativa per far comprendere sul comunicato ufficiale dell’impresa artistica l’humus di cui si nutriva.

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