di Pinakos
Sono nato di notte,
come zucchero di carne
filato da un fiore di lamiera
Tutto era porpora di sangue di parto
In quella ragnatela di cristallo
che accoglieva la mia creatura
Milioni di schegge di silicio
avevano scarificato le sue tempie
Fino a nuova gioventù.
Non credevo
Si potesse nascere una seconda volta,
a 30 anni suonati,
Privato delle rughe
Che avevano arato la mia fronte.
Il loro vomere era rimasto là,
Abbandonato,
su quel terreno dissodato a metà,
Turgido come un’enorme melanzana viola
Avulsa dal tempo.
Era calato un lungo sonno.
Lo vegliavo su un tappeto volante.
Sotto di me morivano stelle psichedeliche
E un’aurora boreale allucinata
avvolgeva come marea
sogni lucidi
fradici di sudore
Nell’unica estate
in cui avevo ripudiato
il Mare
Il mio braccio monco
fluttuava nell’acqua
attaccato a corpo stanco.
Tiravo l’invisibile corda d’infanzia
E solo testa emergeva
da quel brodo amniotico.
Annegavo,
Ché avevo smarrito
le mie branchie di pesce
La mia rassicurante coda di girino.
Non una medusa,
Trasportata dalla corrente.
Un ramo zuppo,
Abboffato e Gonfio
Alla deriva di sé.
Perso nel dormiveglia dei barbiturici,
Sciroccato dal giudizio di sé stesso.
Sono nato cavallo pazzo
Negli occhi il terrore dell’insofferenza
di chi ha finito il tempo della pazienza
per averne avuta abbastanza per tutti.
Finanche per se stesso.
Sarebbe stato meglio
star seduto al tavolaccio con mia zia
che scoprire di
aver giocato a poker con me.
Bluffando ad ogni mano.
Consapevole delle folli probabilità
di un full.