di Elisa Mauro
Può essere davvero che per insegnare qualcosa di serio ci sia bisogno di qualcuno che sappia renderne leggera la traccia. Ossia il percorso logico. Di fare del concetto più severo uno spauracchio da non temere mai. Frank Zappa fece un lavoro del genere con la musica, anche con quella elevata, di più alto rango. E la rese leggera, digeribile, se non per tutti, per chi lo volle apprendere. E furono in tanti a farlo.
Nonostante i tempi incredibilmente caotici, in cui un’intera generazione si dava da fare per dimostrarsi risoluta e ben indottrinata, per ritenersi migliore della precedente – e peggiore della susseguente -, il capellone spiantato del Maryland riuscì a diffondere quanto più possibile l’aura magica e compiuta che un suono poteva ricreare su un banalissimo corpo umano, e all’interno dei suoi organi più duttili.
Erano gli anni in cui in Inghilterra imperava l’abbandono, da parte degli artisti e della musica, della componente politica, e nessuno si sarebbe sognato mai di tratteggiare linee di oscenità sulla musica; in America, d’altro canto, a Los Angeles, esisteva Frank Zappa. Che non solo faceva questo, ma si divertiva – e ci divertirà tantissimo – a includere in un’unica grande opera anche gag, suspense teatrali, slogan pubblicitari, citazioni colte, buffe, insieme a cliché del buon vecchio americanismo di settore e sensazionalismo da prime time. Cose da pazzi. Cose da rock. Quello vero, che bussava alle porte delle vecchiette per farle sobbalzare dalla poltrona di velluto e piangere dal frastuono. Il rock che non s’impietosiva davanti alle star cadute come foglie secche a causa dell’eroina. Quello era il rock che dissacrava più di ogni altra cosa la sua stessa creatura matrigna: la musica.
Ben presto uno così si fece riconoscere come un coccodrillo in mezzo al guado. Ma con il suo talento e la sua enciclopedica conoscenza Frank poteva fare bene poco: l’America aveva bisogno di essere sconvolta, e per sconvolgerla non bastava un bravo e talentoso musicista o compositore. Occorreva il tracotante humor di chi sapeva tramandare una corteccia di ulivo secolare come fosse filo d’erba. L’unione delle forze creò un progetto musicale inatteso e davvero sorprendente: nacquero The Mothers of Invention da una rivisitazione di una precedente band, The Soul Giants. E la celebre etichetta Verve se li accaparrò in un sol boccone. Gnam.

In breve tempo si preparò l’album Freak out! il ritratto più sconvolgente della musica di Zappa e i The Mothers, molto più raffinato di quanto dimostri all’apparenza. Freak out! è una vera e propria operetta multisonica e iperconnessa, fisicamente in grado di prendere Lazzaro e tirarlo su, pregna di citazioni dotte e di rimandi culturalmente aulici. Questo fu un banco di prova importantissimo per il Duca delle Prugne, ma i cambiamenti stilistici era necessari per un camaleonte come lui, quasi fisiologici. Ed ecco Over-Nite Sensation nato nel 1973, Apostrophe dell’anno successivo. E furono la svolta.
In queste opera magna Zappa decise di capovolgere l’America, e di stenderla come un cencio al sole, e finalmente la sua dissacrazione potè dirsi in atto.
Tanto altro si scrisse, si compose e si produsse successivamente, finché vita lo permise, ma ciò che resta più importante di questo repertorio è la declinazione che Zappa riuscì a fare del rock appena nato: alternativo, dissacrante, progressivo, hard, demenziale, allucinante.
Frank Zappa fu il primo dei padri fondatori della dichiarazione d’indipendenza del rock. Il suo lascito più grande non sono solo gli album concettuali delle voci industriali, o di quelle libidinose, sul suo Stravinskij e sul jazz. Ciò che ereditiamo di lui è soprattutto la possibilità di comprendere la musica sotto un altro aspetto, di cogliere le caratteristiche molecolari che la rendono davvero avanguardista e fare, con questo, di una mitragliata in piena faccia un tenero lancio di coriandoli.