Pensa, a gennaio, che il fuoco del ciocco
non ti bastava, tremavi, ahimè!,
e le galline cantavano, Un cocco!
ecco ecco un cocco un cocco per te!
I Canti di Castelvecchio “Oh Valentino” | Giovanni Pascoli

Nel lontano 1954 è stata preparata a Porto Rico al Bar di San Juan la prima piña colada, il delizioso cocktail a base di rum bianco, succo d’ananas e crema di cocco. Ma cos’è il cocco e da cosa ha origine? Si tratta del seme della Cocus Nocifera e vive da tempo immemore vicino le coste del Pacifico, in Melanesia per poi svilupparsi nelle zone tropicali della Terra. Ha proprietà incredibili e diversi strati che ne proteggono il succo dolce di acqua e di latte. Si mangia e si beve, per questo è considerato da molti un frutto sacro in grado di sfamare interi popoli e nutrire i pargoli con sostanze naturali.
Nel XIII Secolo Marco Polo conobbe le noci di cocco per la prima volta, in India, durante l’incredibile viaggio in Asia durato 24 anni e riportato nel suo Milione, in cui definisce il cocco sia carne che bevanda.
L’altezza del suo fusto raggiunge anche i 30 metri ed esiste al mondo dal 2017 il primo campione di arrampicata sugli alberi di cocco. Il suo nome è George Iona e vive nelle Isole Cook.
Nell’India meridionale esiste una leggenda che si tramanda da generazioni e che riguarda la nascita della noce di cocco. In un piccolo villaggio viveva un pescatore che non riusciva ad acchiappare un solo pesce. Ben presto tutto il paese iniziò a deriderlo. Così decise di recarsi da un mago per trovare un modo più semplice per poter diventare un bravo e abile pescatore. Affinché la sua pesca fosse più presto produttiva, il mago pensò a rendere la sua testa mobile per staccarla dal corpo ogni volta che si tuffava in mare per pescare.

Di notte, quando tutti erano a casa a dormire, il pescatore staccava la testa dal collo e la nascondeva in un cespuglio per gettarsi in mare e poter afferrare i pesci senza paura di annegare. Finalmente il giorno seguente, il ragazzo, tronfio, andava in giro per il villaggio a mostrare l’enorme quantità di pesce pescato. Ma in molti si chiedevano il perché visto che non utilizzava reti né canne da pesca. Un bimbo che si aggirava da quelle parti e incuriosito dal prodigio iniziò a seguire il giovane e quando vide che si toglieva la testa per nasconderla nel cespuglio, l’afferrò e scappò via per mostrarla alla comunità. Il giovane pescatore appena uscito dall’acqua non trovò più la sua testa e si rimise in mare per non morire e diventando per sempre un pesce. La sua testa invece si fece frutto e volò su un albero alto e sottile: la palma. Da allora sulla noce è impressa la faccia di quel giovane pescatore e tutti lo ricordano per sempre.
Fonte di potassio, magnesio, rame, fosforo, zinco e ferro, il prodigioso frutto tropicale, come quel piccolo pescatore, contiene anche fibre naturali e importanti amminoacidi. Ha il potere di dissetare e rinfrescare gole secche e asciutte. E da esso si ricava molto più di nutrimento completo, come ad esempio mobili, maschere di bellezza, oggetti, utensili e indumenti. Tutto si può ricavare dal cocco, anche dolci fragranze da diffondere nell’ambiente casalingo. Se ne fanno profumi e altro genere di cosmetici. È prezioso il suo olio, utilizzato anche per la cura dei mobili. In sostituzione del burro di origine animale, il suo burro, come la farina ricavata dalla polpa essiccata, è impiegato in cucina e specialmente in pasticceria per il suo dolce sapore e per il profumo che sa donare ad ogni preparazione.
Un detto delle Filippine è famoso per questo insegnamento: «Chi pianta una palma da cocco pianta utensili e indumenti, cibo e bevanda, una dimora per sé e un’eredità per i suoi figli». Dalla linfa della sua infiorescenza si ricavano zucchero e alcol. Il suo guscio è utilizzato anche come fertilizzante. Per preziosità è paragonabile alla nostra oliva. In Indonesia e in molti paesi tropicali il cocco è simbolo di vita e di prosperità. Con esso si dà nutrimento alla vita e alla terra. Chi possiede una palma di cocco possiede una casa, un edificio, possiede un condominio che dà profitto alla famiglia in ogni modo.
Chi, oggi, raccoglie le noci di cocco? In genere gli agricoltori, gli operai, ma sempre in Indonesia in alcune regioni esistono altre maniere: si impiegano le scimmie per questo genere di lavoro. Questa notizia diffusa dalla associazione animalista People of the Ethical Treatment of Animal (PETA) all’inizio dello scorso anno aveva denunciato la pratica crudele dell’impiego dei macachi schiavizzati per questa attività. Bangkok detiene ancora il primato di produttore di cocco al mondo per un giro di affari di 400 milioni di dollari tra le sue variabili di latte, olio, farine e burro e molte aziende produttrici si servono di animali per monetizzare il loro business. Impiegare gli animali, per loro, significa ridurre i costi di raccolta che si avrebbero con l’uso di macchinari molto costosi e una valida alternativa all’impegno di operai spesso infortunati e da retribuire.
In queste località ci sarebbero delle vere e proprie scuole di addestramento per macachi, otto denunciate per la precisione, aperte per istruire le scimmie alla raccolta delle noci di cocco e che, a vedere alcune testimonianze video diffuse da PETA, sembrerebbero carceri e campi di concentramento in cui a dominare sono violenza, disumanità e sopraffazione.
La Direttrice di PETA Elisa Allen denuncia questa pratica abominevole grazie all’inchiesta effettuata da alcuni reporter a lei vicini in cui si vedono i piccoli animali in gabbia, torturati e legati in catene, costretti a lavorare a ritmi serrati: «Questi curiosi e intelligenti animali vengono privati di stimoli mentali, compagnia, libertà e tutto ciò che renderebbe la loro vita degna di essere vissuta, tutto questo solo per essere utilizzati per raccogliere noci di cocco. PETA – continua Allen – esorta le persone oneste a non supportare mai l’utilizzo del lavoro delle scimmie, rifiutando prodotti a base di cocco provenienti dalla Thailandia».
[La redazione]