DDL Zan: le persone prima della politica

di Silvio Nocera

Commentare la bocciatura del DDL Zan non è cosa semplice: anche in un tentativo tanto bonario quanto analitico di ricondurre l’episodio nel quadro di uno schema di dialettica politica, faccio fatica. E la faccio perché il dato incontrovertibile è che il braccio di ferro avvenuto a Palazzo Madama con la sconfitta di Enrico Letta si è consumato ancora una volta sulla pelle delle Persone vittime di atti di discriminazione a causa della loro diversità, sia legata all’orientamento sessuale, che all’identità di genere e alla disabilità. Una legge che poteva esserci e non c’è per una catena di errori e congiunture per cui la politica italiana dovrebbe chiedere scusa. E allora per mettere in fila un ragionamento sensato occorre considerare sei dimensioni.

1. Negazionismo. Durante l’iter di discussione del disegno di legge la copertura dei media sui casi di omotransfobia è aumentata, portando all’attenzione della pubblica opinione un susseguirsi di atti persecutori di stampo omotransfobico bollati da una certa parte come propaganda. Chi mastica di  giornalismo conosce i meccanismi dell’agenda setting e sa bene che un argomento già tematizzato genera altre notizie che accrescono la focalizzazione su quello stesso tema. Il che non significa che quelle notizie correlate siano frutto di una narrazione allarmistica, ma che vengono cercate e pubblicate proprio perché in quel momento, più che in altri, fanno notizia. Per fugare il dubbio sulla piaga dell’omotransfobia basta dare un’occhiata al progetto Omofobia.org che contiene un report sempre aggiornato sul numero di episodi di discriminazione a aggressione che avvengono in Italia. Tra il 17 maggio 2020 e lo stesso giorno del 2021 sono stati rilevati 138 episodi (solo tra quelli penalmente rilevanti, quindi eccettuati semplici insulti o espressioni scritte o verbali non dirette a una precisa persona fisica) che hanno coinvolto un totale di 190 vittime. Quasi tre episodi ogni settimana; più di una vittima ogni due giorni*. Morale della favola: l’omofobia c’è, esiste, si manifesta sul web, in famiglia, per strada, a scuola o a lavoro, nelle attività del tempo libero e va contrastata con un provvedimento ad hoc così come accaduto con il Codice Rosso. Lo si aspetta dal 1996, anno in cui Nichi Vendola depositò la prima proposta di legge sul tema. 

2. Il paravento etico. Come accaduto in Italia negli ultimi anni, le tensioni parlamentari e/o i segnali di fumo per la sperimentazione di nuovi e inesplorati assetti di potere si sono spesso manifestati su temi etico-sociali. Argomenti divisivi su cui i partiti e le loro correnti, per storia, tradizioni e pattern valoriali, hanno posizioni divergenti e confliggenti pronte a essere utilizzate in vista di obiettivi più grandi: nuove alleanze, una nuova legge elettorale, l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Al di là della constatata inabilità a legiferare su temi etici come il fine vita, la step-child adoption, l’identità di genere, la politica italiana ha delegato negli anni la magistratura a intervenire per sanare ferite e/o deficit legislativi causati dalla sua indolenza, dalla sua inazione, dalla sua paura. Dimenticando che in mezzo ci sono le Persone. Quelle stesse persone tutelate da leggi come la 654/1975 sull’odio per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; la 101/1989 a tutela degli Ebrei; la 205/1993, (legge Mancino) per il contrasto alla discriminazione  razziale, etnica, nazionale o religiosa; la 482/1999 per le minoranze linguistiche. Sono tutti provvedimenti a tutela della persona quale soggetto libero di autodeterminarsi in ragione di caratteristiche e/o attitudini proprie e socialmente riconosciute. Il DDL Zan avrebbe introdotto un’estensione della legge Mancino ad altre categorie. C’è da chiedersi perché ci sia ancora tanta resistenza a occuparsi della discriminazione fondata su altri temi, disabilità compresa. Una sconcertante doppia morale. 

3. (Dis)ordine politico. La pregiudiziale etica è diventata strumento di una battaglia politica senza esclusioni di colpi che non ha guardato in faccia nessuno. Men che meno le persone LGBTIQ+. Tutto si è compiuto attraverso l’applicazione di una procedura parlamentare con voto segreto che ha fatto fare una pessima figura alla politica: si sarebbe dovuto mettere la faccia, ma ciò avrebbe significato mandare all’aria le prove di nuove sante alleanze in vista del sistema che verrà. E così, sfruttando la rigidità di una parte, 23 mister X hanno sparato il loro colpo, indirizzato a nuora perché suocera intendesse. Chi siano nuora e suocera in questa vicenda possiamo ipotizzarlo, ma non saperlo. Sappiamo però che avremmo potuto avere una legge, seppure imperfetta, seppure perfettibile: non solo uno strumento di tutela della persona, ma anche di investimento culturale in direzione della mediazione dei conflitti sociali. E pazienza se diverse voci del mondo conservatore hanno dichiarato che, se rimodulato, il provvedimento sarebbe potuto passare. Si è preferito andare allo scontro frontale. Ma lo si è fatto in modo disorganizzato e disordinato. Sono stati abbandonati i tentativi di mediazione. Non sono stati aperti tavoli di concertazione ai più alti livelli. Non è stata organizzata una campagna di sensibilizzazione e di informazione della pubblica opinione che accompagnasse l’iter del provvedimento, come nel caso del voto sul testo Cirinnà. Non sono state rese pubbliche le audizioni parlamentari. Cosa ha fatto il movimento LGBTIQ+, spesso rappresentato da Arcigay, prima di piangere sul latte versato? È possibile che non si sia fatto in modo di costruire un dialogo il più trasversale possibile? Chi tra i leader di partito non controlla i propri gruppi parlamentari?

4. (Dis)ordine giuridico. La questione dell’identità di genere non è una novità negli ordinamenti europei. Risale al 2014 la risoluzione che il Parlamento Europeo adotta per il contrasto alle discriminazione basate su orientamento e identità di genere, chiedendo agli Stati membri di muoversi in tal senso. Si sono poi susseguite la risoluzione dell’11 marzo 2021 con cui l’UE veniva proclamata zona di libertà per le persone LGBTIQ+ e quella del 14 settembre dello stesso anno sui diritti delle persone LGBTIQ+ nell’UE. L’Italia, uno dei pochi partner europei a non aver legiferato, sarà obbligata a farlo nel quadro del diritto europeo e delle categorie riconosciute dall’Unione. Ivi compresa l’identità di genere. Ma per una buona legge occorre elaborare un impianto che sciolga le ambiguità relative alla categoria di stabile condizione” (ricordiamo la nozione di “stabile convivenza” per la legge Cirinnà): ossia individuare elementi oggettivi in grado di comprovare l’identità di genere, nelle sue diverse sfaccettature, ivi compreso il riconoscimento sociale. Questo è il nodo e va superato per non cedere il fianco ad accuse strumentali verso provvedimenti percepiti o fatti passare come ideologici. Nulla a che vedere con il sacrosanto diritto all’autodeterminazione, né con il presunto attacco al pluralismo di opinione salvaguardato dall’articolo 4 del disegno di legge: il provvedimento avrebbe punito gli atti violenti o le affermazioni che spingono a commetterli o ledono la dignità della persona. Per quello che è e non per quello che fa. Va dato atto che il disegno di legge non si componeva solo di una parte repressiva, ma istituiva i centri anti-violenza e gettava le basi verso una nuova sensibilità in tema di differenze e orientamenti sessuali. 

5. Guerra senza frontiere tra conservatori e progressisti di Europa. È in atto a livello internazionale una grande battaglia: da una parte c’è blocco “conservatore” che usa le leve dell’identitarismo, della religione, del nazionalismo per ghettizzare, alzare muri, balcanizzare l’Europa; dall’altra c’è il blocco “progressista” che spinge su un processo di integrazione rafforzato, che tutela i valori alla base del patto europeo, e che opera per il rafforzamento dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Si tratta di due visioni del mondo diverse e antitetiche che hanno referenti nazionali e internazionali e che puntano a costituire modelli e alleanze diverse. Il fatto che Paesi come l’Ungheria o la Polonia abbiano promulgato leggi ostili alla comunità LGBTIQ+ e che spingano l’asticella della sfida a Bruxelles ogni giorno un po’ più in là sul tema dello Stato di diritto la dice lunga sullo stato dell’Unione. Le corrispondenze in atto tra movimenti conservatori sparsi per il continente e certi governi che agiscono al limite dell’autoritarismo devono fare aprire gli occhi sulla posta in gioco. I temi sociali non sono più le cenerentole della politica: sono la terza gamba del nuovo partenariato suggellato dall’Agenda 2030** per la gestione della complessità sociale. I tempi sono cambiati e i modelli pure.  

6. Comunicazione. L’elemento più interessante emerge dai dati analizzati dai sondaggisti. Sono tutti concordi nell’affermare che la narrazione veicolata sul DDL Zan non ha prodotto un’informazione vera e documentata. Secondo Antonio Noto, direttore di IPR Marketing, il messaggio passato è quello di un provvedimento che difendeva i diritti civili. Paglioncelli, di Ipsos Italia, ci racconta di un 54% degli intervistati che ritiene fondate le discriminazioni verso la comunità LGBTIQ+ e di un 41% che sul DDL ha idee confuse. Questo conferma che chi doveva illustrare il provvedimento all’opinione pubblica, chi aveva la responsabilità di sensibilizzare e spiegare le ragioni di un simile intervento, lo ha fatto poco e male, generando una dissonanza cognitiva utilizzata per avvantaggiare ora i favorevoli, ora i contrari alla legge. Questo, tuttavia, ha scatenato dinamiche da tifoserie che hanno impedito lo sviluppo di un dibattito pubblico sano ed equilibrato, confondendo i piani e i livelli di analisi e di contenuti. Abbiamo perso tutti: semplificare ad arte in modo grossolano, banalizzare e svilire con l’obiettivo di demonizzare istanze di tutela di persone e/o gruppi significa fare un pessimo servizio al Paese.     

Nelle piazze italiane dello scorso 29 ottobre è riecheggiato il refrain: l’Italia è pronta da tempo a provvedimenti come il DDL Zan o la società è anni luce più avanti della politica. È vero, ma la promozione di misure che ampliano diritti e tutele di minoranze e gruppi sociali deve sempre passare attraverso una elaborazione culturale che sia più ampia e diffusa possibile per trarne forza e aumentare la legittimazione. Avremmo potuto avere una legge e invece siamo orfani. Chi va a spiegarlo alle tante vittime di aggressioni omotransofobiche, derise, picchiate, brutalizzate, isolate, abbandonate, ripudiate? Chi ha tanto pelo sullo stomaco per anteporre i calcoli politici ai diritti umani?  

* Fonte: https://www.omofobia.org/sito/report-omofobia-2020-2021/  ** Per approfondimenti: https://unric.org/it/agenda-2030/ 

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