di Elisa Mauro
Quando nasce un’opera, che sia un romanzo o una musica o un quadro o una scultura, il suo creatore gli dà un nome. E difficilmente sarà assegnato in modo casuale. Pinwheel (etichetta Rainbow Score Recordings), nome dell’ultimo album del musicista di origini salentine Marco Rollo, è letteralmente una girandola di colori, come quelle appartenute alla nostra infanzia, al ricordo in cui il suono del vento muoveva la testa multicolore per farci sorridere e sognare.

Marco Rollo nasce nel 1977. E da allora compie due percorsi differenti, uno umano e l’altro artistico. Sulla base di quest’ultimo, e per mezzo del primo, realizza delle scelte importanti che lo consacreranno a compositore d’eccezione. La sua musica è votata all’esplorazione, allo studio meticoloso e alla ricerca, quasi scientifica, delle note. Note che si animano per mezzo del suo pianoforte, non uno strumento e basta, ma l’allungamento di sé, la riproposizione del suo corpo in tasti bianchi e tasti neri. Ed è con Pinwheel che questa fusione sembra ancora più possibile. Sarà anche perché l’intimismo in questo album regna sovrano e l’eco dei pensieri si riflette nelle melodie ovattate e oniriche in cui ci vuole condurre l’artista.
Poi la pandemia, la chiusura, il rintanarsi nella propria anima, tutto questo ha fatto della sua valigia una cassaforte di emozioni e di colori da condividere con il resto dell’umanità chiusa anch’essa nella propria valigia.
Marco Rollo cresce nello studio di artisti incredibili, come il pianista svedese Esbjorn Svensson, Cinematic Orchestra o Tord Gustavsen, e nell’amore di divinità come Chopin e Schumann, che tornano magicamente in questa sua nuova realizzazione musicale. Abbiamo voluto incontralo. Chiedergli di più.
Marco, mi rende sempre molto fiera sapere che hai creato altra musica maestra. Eravamo ragazzini, quando ci siamo conosciuti tramite i nostri amici Après La Classe del batterista Francesco Recchia, insieme al jazzista Raffaele Casarano, e ora sei un grande artista applaudito e apprezzato ovunque. Enormi sono i riconoscimenti che tu, insieme al tuo pianoforte, state ottenendo per grandissimo merito che in pochi oggi possono vantare. Raccontami di quanto hai sudato per raggiungere questa cima da cui ci vedi tutti sempre più piccoli.
Elisa, il ricordo di quel periodo è sempre molto nitido e presente. È in quel periodo che è nata in me la consapevolezza di poter riuscire a creare la mia musica, il mio suono, la mia arte e la mia vita. Ho dovuto fare una bellissima gavetta prima di arrivare (ma non si finisce mai di viaggiare, il percorso è sempre lungo, la meta è un nuovo inizio), passando per Opa Cupa di Cesare Dell’Anna in giro per l’Italia e l’Europa a suonare il balkan, i tempi dispari e a imparare ad ascoltare gli altri e ad ascoltare un mondo di musica a me sconosciuta. Poi da lì l’incontro con Raffaele e la produzione di Argento. Quel momento della mia vita musicale mi ha formato tantissimo, mi sono avvicinato all’elettronica per non lasciare mai più, o quasi mai.
Il ritorno al passato, hai detto, rappresenta la base di questa tua ultima opera. Con l’elettronica è stato un sodalizio importantissimo, soprattutto per ottenere la giusta approvazione, ma hai sentito il bisogno, in quest’anno tremendo, di tornare all’umiltà del suono, se così si può dire, all’autentico rapporto con lo strumento musicale. Cosa è successo esattamente?
Ecco, infatti, dicevo, quasi mai. In queste mie ultime composizioni, dell’album Pinwheel mi sono ritrovato seduto al mio amato pianoforte. Ho dedicato questo periodo di sofferenza imposta a me stesso. Ho ripreso a studiare la musica classica, Bach, Chopin, Liszt. Un ritorno al passato, alle mie origini, che non mi abbandonano mai.
La memoria è qualcosa che spesso ci incastra. Nella tua musica c’è memoria di vario genere, sempre collettiva. Una memoria corale, la chiamerei, che ricorda non solo per sé ma per tutti quanti. Se la tua musica potesse parlare avrebbe la voce della terra che ti ha cresciuto e quella del resto del mondo che ti ha formato come uomo e soprattutto come artista. In questo caso, in Pinwheel la memoria è tua, e solo tua. Non volevi che a parlare fosse nessun altro se non la tua casa, quella finestra, eppure nel terzo brano, con Rainbow, torni a quella coralità che caratterizza tanta della tua meravigliosa musica. Può esistere davvero intimità, intesa come qualcosa di non condivisibile, per un artista del tuo calibro che è in grado di universalizzare anche concetti come questi?
Le radici sono molto importanti per me. Sono legato alla terra intesa come affetti, i miei genitori che mi hanno sempre supportato e spronato a non lasciare mai che le avversità della vita prendessero il sopravvento. Ed è nella musica che trovo la mia comfort zone, il mio rifugio e gli abbracci che sono mancati in questo lunghissimo anno. Cerco di non pensare quando mi siedo al piano, lascio che le emozioni la facciano da padrona e così inizio a suonare, one Take. Buona la prima, spesso. E cerco di arrivare all’ascoltatore che è l’ultimo ma il primo fruitore delle mie creazioni.
Nasci in una terra meravigliosa, la Puglia del suo versante più amato, più conosciuto, che ha dato natali a una miriade di artisti sensazionali come te, cosa ha di così prezioso, di così speciale, questo luogo?
Sinceramente non saprei a cosa è dovuto tutto questo, forse al sole, e all’amarezza che c’è intorno, il desiderio di poter fare di più, ognuno a suo modo, ognuno per quello che riesce meglio. Io ci metto tutto me stesso in quello che faccio, ma andando in giro mi rendo conto che forse meritiamo un destino migliore, un’aria più pulita come in quei giorni di tramontana che spazza il cielo ma che porta con sé le scorie e le getta in mare. Si, meritiamo molto di più.
La girandola è un gioco fatto di colori, di velocità e di bellezza. È creata con l’intenzione di esserlo, un gioco, ma poi diventa un oggetto quasi mistico, dal valore altamente immaginifico. La sua caratteristica principale è che per funzionare ha bisogno di qualcun altro, di qualcos’altro. Funziona con la forza del vento o del fiato. Da solo non avrebbe la stessa magia. Hai voluto dedicare a questo strumento, che quando fa il girotondo tiene spalancate le bocche dei bambini, la tua musica, perché?
Ho un ricordo da piccolo: una girandola fuori dalla finestra a casa dei miei dove studiavo il pianoforte, che girava ininterrottamente e si fermava solo per respirare. E ad ogni respiro un colore, come il nome dei miei brani. E tutti insieme il bianco, un bianco che era dato dalla forza del vento.
I tuoi brani hanno nomi comuni, quelli dei colori, che all’ascolto sembrano nomi propri, tanto diventano individui e, persino, in certi casi, confidenti. Ogni brano ha un proprio carattere, un proprio atteggiamento di vita. Come riesci a compiere questo genere di narrazione, così complessa, senza dover parlare?
Le note sono il linguaggio che mi riesce meglio. Almeno lo spero. Solo così riesco a d esprimermi nella completezza, lascio sfogo alle corde che vibrano, alle sonorità. Poi mi piace pensare che ognuno di noi ascoltando l’album associ la propria anima a un colore, per me ogni colore è un’immagine, un contatto, una sensazione e un sentimento. Il tuo qual è?
Il blu, senza dubbio. Marco, il tuo è un lavoro incredibilmente riuscito. Sarà per quelle origini che ti aspettavano come le braccia tese di una madre, sarà perché in esso coesistono valori così preziosi, o perché la tua musica ti sa prendere per mano e accompagnarti dove vuole lei, anche quando non ti puoi muovere. Tutt’intorno c’è una pandemia che ha bloccato l’esistenza senza fermare il tempo. Ora pian pianino sembra che tutto stia passando. La tua creatura nasce in un tempo come quello, però. Cosa ti aspetti che faccia per noi?
Io spero di poter ritornare a suonare sui palchi e in mezzo al pubblico il prima possibile. Perché è questo che mi rende felice: riuscire a trasmettere le mie emozioni. Mi piace pensare che il mio concerto sia come un viaggio, che ti porta lontano, o ti riporta a casa, ovunque tu possa arrivare con l’immaginazione.

È difficile intendere Pinwheel semplicemente un album. Per noi è piuttosto un unico immenso brano, un filo che lega a sé ogni melodia, tra gli alti e i bassi di una vita, un’unica testa multicolore che ruota grazie al suono di quel vento mite e umido che fa della terra in cui nasci un luogo magico, il luogo in cui avrà inizio tutto e in cui niente avrà più fine. Da poco è uscito infatti Sunshine, la continuazione naturale di Pinwheel, come suggerito dal suo autore, suonato su uno Steinway del 1918 ed elaborato e riprodotto come un piano Felt.