
Alle volte è insolito ritenere che una mamma, appena nata, insieme al suo bambino, sia anche triste, oltre a essere felice. Due sentimenti così evidentemente contrapposti, immensa felicità e profonda tristezza, che è difficile pensare possano viversi insieme. Eppure è così. E in un periodo specifico della nostra vita possono addirittura sovrapposti.
A quante mamme è successo di sentirsi inopportune nel nuovo ruolo che la vita stava edificando per loro? A tante, tantissime. Quasi tutte, in realtà. Il mito, al contrario, vede queste creature appena entrate a contatto con la maternità come eteree, madonne isolate e illuminate da sentimenti puri, casti e devoti nei confronti del nuovo nato da accudire. Questo lascerebbe il resto fuori, oltre ogni ragionevole dubbio. Non esisterebbe neppure la possibilità che una donna, appena dopo il parto, possa considerarsi inadatta a ricoprire un ruolo fatto di grandi impegni, responsabilità e battaglie contro il sonno e la sofferenza di un altro individuo di cui è creatrice (perché chi ha dato la vita ha provocato irrimediabilmente anche la sofferenza, le coliche, la febbre, l’influenza, la malattia, e, oltre alla sorpresa e alla gioia, tutto ciò che a ogni vita nuova spetterà di vivere).
Quello della nascita di un figlio è il momento esatto in cui l’io viene messo da parte e involontariamente vanno a rientrare nella psiche di una donna, ma non solo, capita anche ai partner uomini o donne che siano, gli eventi che hanno innescato una profonda disistima in loro. Quando nasce un figlio, a subentrare è l’io di qualcun altro, a cui abbiamo dato un nome, noi stesse, e che amiamo più di ogni altra cosa. A quell’io abbiamo dato tutto ciò che apparteneva a noi: tempo, umore, spazio, attenzione, conoscenza, impegno e il sentimento più alto fra tutti, l’amore.
La depressione PP colpisce almeno il 13% delle neo-mamme. Umore irritabile, stanchezza, insufficiente recupero, insonnia, ipersonnia, psicosomatizzazioni, inappetenza, perdita vertiginosa di peso, tristezza incontrollata, dedizione totalizzante al neonato e ai suoi bisogni o, al contrario, rifiuto, annullamento della vita sessuale di coppia, aumentata affaticabilità, disturbi d’ansia sono questi i fattori che incidono, chi più, chi meno, nella determinazione di questa insidiosa diagnosi.
Non tutte le neo-mamme si accorgono di questo problema e spesso, anche per incapacità culturale, molte famiglie d’origine, o acquisite, tendono a sottovalutare buona parte di questi aspetti. Anche i partner non si accorgono dei cambiamenti rilevati in questo periodo di gestazione del cambiamento e, anziché dare una mano prestando l’ascolto e aiutando nella gestione dei bisogni del bambino, tendono a evitare anche il contatto con le situazioni più difficili: crisi di pianto del neonato, sveglie notturne, poppate, cambi panni, bagnetti e così via fino allo svezzamento, per poi ricomparire magicamente quando il bambino è in grado di comunicare seppur sommariamente con i grandi.
Ma è anche quella la fase in cui poi sarà difficile recuperare, perché il gap della tristezza sarà irrimediabilmente peggiorato.
«Oggi la DPP è convenzionalmente riconosciuta a livello scientifico in base ai sistemi di classificazione diagnostica DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder) e ICD-10 (International Classifiaction for Desease)». Ha base scientifica ed è suddivisa in forme che vanno da lieve entità a più grave e complessa. E se il Maternity Blue, sindrome coniata dal pediatra Donald Winnicott, con il quale s’intende un lieve e transitorio disturbo dell’umore, compare 2 o 3 giorni dopo il parto, la depressione postpartum si evidenzia entro sei mesi dal parto.
Molto deriva di certo dalla repentine e ondivaghe fluttuazioni ormonali. Già in pancia i genitori cominciano ad acquisire un sistema di accudimento del piccolo che servirà poi a vivere e gestire le relazioni nel mondo.
Capita che molte neo-mamme non trovino più neppure giovamento da certe situazioni, come svaghi, attività che in passato determinavano invece serenità e completezza nella propria vita. “Sento che sto per esplodere” è una delle frasi che maggiormente riecheggiano nella testa di una mamma. Il tempo non sembra bastare mai e i momenti per sé si rarefanno. Alle volte anche il lavoro, le richieste costanti di una società sempre più aggressiva e molto meno empatica rispetto al passato, la famiglia distante o inesistente, non aiutano a sovvertire questo stato di chiusura. Anzi, lo peggiorano.

La maternità è un cambiamento epocale per una donna, come la paternità per un uomo. Diventare madri o padri modifica i corpi, le aspettative, i bisogni e le concezioni. Traumatizza. Modifica i tempi, le dinamiche, le possibilità. Le priorità diventano altre, da un giorno all’altro il mondo esterno ci presenta milioni di informazioni, alle volte non richieste, e ci bombarda di aspettative che dobbiamo mantenere sempre ad altissimo livello, altrimenti ci si sente fallimenti. La società ci vuole buoni genitori, attenti, premurosi, ci vuole non solo madri e padri, ci vuole insegnanti, catechisti, psicologi, preparatori atletici. E sulla base di questo carichiamo incosciamente i nostri figli di bagagli e macigni inutili, tra lezioni continue di sport, lingue e svaghi dimenticandoci di quei momenti di calma, di abbracci, di sonnellini in braccio, di favole da raccontare e da inventare per stupirli ancora.
Buoni genitori non significa essere sempre felici. Le mamme che soffrono di questo disturbo sono mamme eccellenti come tutte, che hanno bisogno, nei casi migliori, di sentirsi semplicemente ascoltate, comprese, aiutate. E non dovrebbero sentirsi addosso la vergogna affibbiata da chi dispensa gratuitamente consigli senza una specifica specializzazione. Per questo molto spesso occorre non dare importanza alle finte richieste del mondo esterno e sentirsi libere, liberi, di crescere i propri figli nel modo che sentiamo migliore per noi, per loro, per la serenità della famiglia così come si è deciso di costruirla.
Approdare nella genitorialità, nella pluralità del sé, nella sua più legittima e meravigliosa evoluzione è un momento molto delicato nella vita di un individuo. Per questo è importante dare importanza ai piccoli segnali, senza eccedere nella preoccupazione, ma riservando piuttosto amorevole occupazione nei confronti delle persone che si è deciso di amare.
La depressione è una vera e propria patologia, dunque da non sottovalutare. Mai, in nessun caso. È sempre bene discuterne con il proprio medico per conoscere la terapia (che sia farmacologica o di psicoterapia) più consona al proprio caso.
Fonte: Dalla depressione postpartum all’attaccamento sicuro: Linee guida per il trattamento con EMDR di Maria Zaccagnino, Franco Angeli, 126 pagine, 2019.
[Redazione]