La fotografia raccontata dalle donne: la storia inedita di Marianne Thiery, fondatrice della famosa casa editrice francese Textuel

E se il punto di vista dove va a posarsi l’obiettivo per una volta fosse femminile? Una cosa ambiziosa, e riconoscerlo sarebbe anche, di certo, straordinario. La fautrice di questo punto di vista è appunto una donna, Marianne Thiery, a capo della casa editrice parigina Textuel. Un’editrice come altre che dà spazio a pubblicazioni diversificate che si alternano tra studi umanistici e musica, fotografia e arte contemporanea e che sa dare anche importanza ad aspetti cruciali per le nuove aspettative sociali legate alle conquiste femminili e alla gender opportunity.

E così a inizio anno Thiery prepara un volume enciclopedico sulla storia mondiale della fotografia al femminile, chiamato appunto Une historie mondiale des femmes photographes dedicato a 300 reporter che hanno spostato il punto di vista dell’obiettivo dalla parte della donna, in quanto soggetto dell’opera e non più, e non solo, oggetto.

In fotografia non esistono solo maestri quindi, ma anche maestre, in grado di mostrare il lato artistico, pregiato delle cose e della vita comune e di fermare in un attimo eterno i momenti più intensi, più emblematici della nostra storia, grande o dell’esistenza spicciola.

A cura della narrazione della nuova, per così dire, fotografia ci sono Luce Lebart e la curatrice Marie Robert. Il volume è redatto grazie alla collaborazione di decine di autrici chiamate per omaggiare l’occhio di donna, il suo sguardo, l’intuito che viene mostrato nelle oltre 400 foto in rassegna.

Questa raccolta di testimonianza professionale è voluta con lo scopo di dimostrare come la storia proceda sempre per riconoscere il valore artistico e professionale agli uomini e che spesso dimentichi di valorizzare il compito di molte donne che hanno fatto della loro vita l’esaltazione della immagine, della sua riproduzione e dello scatto artistico. Molte, tantissime storie narrate da altre voci femminili per non dimenticare l’opera di quelle donne votate alla fotografia e al loro modo d’intenderla.

Omicidio targato Palermo, Letizia Battaglia, 1975

Tra le altre nel volume è presente la storia di Anna Atkins, inglese, appassionata di botanica e promulgatrice della cianotipia. Siamo nel 1841 e Atkins riesce con le sue opere a fondere scienza e sapere fotografico. O dell’iraniana Newsha Tavakolian, documentarista e membro di Magnum Photos, o di Lisetta Carmi che da musicista diventa fotografa grazie a Leo Levi in Puglia dove seguirà i canti della comunità ebraica di San Nicandro Garganico registrandone i momenti più suggestivi che restano nella memoria, e della palermitana Letizia Battaglia famosa per aver impressionato i momenti più cruenti e violenti della storia italiana. Emancipazione, certamente, ma soprattutto riconoscimento per quelle creatrici uniche di un punto di vista privo di ambiguità sessuali, privo di desiderio verso il corpo femminile, non omologato all’unico stereotipo di genere che ne ha fatto in molti casi l’esaltazione del maschilismo.

Si pensi che i primi manuali di fotografia sono stati realizzati tra le due guerre proprio da due donne: Lucia Shultz e Gisèle Freund. Sembra che molte delle fotografie di Lucia Shultz siano state erroneamente attribuite al marito pittore e fotografo László Moholy-Nagy, questo per il costume comune che preferisce vedere paternità al posto della maternità delle opere artistiche. Ma non è così, spiega Thiery. Molto dovrà essere riconosciuto ancora alle donne che hanno lavorato al rendere grande la storia della fotografia spesso in silenzio, o di nascosto, per non essere tacciate di frivolezza e malcostume.

Solitudine. Carrie Mae Weems, «Untitled (Man reading newspaper)», tratta da Kitchen Table Series del 1990

Molte di loro vivevano nell’ombra e non potevano neppure palesare il loro talento, la loro ambizione, per i tempi che si vivevano e in molti casi per i tempi che viviamo ancora. Ma Marianne Thiery non è l’unica ad aver dato importanza a questa visione della fotografia. Chi l’ha celebrata in un recente passato è Damiani (Editore italiano) nel 2016 con la riedizione dell’opera Kitchen Table Series dell’artista afroamericana Carrie Mae Weems. In questo magnifico lavoro Carrie, citata anche nel volume Une historie mondiale des femmes photographes, racconta la tavola domestica, la gerarchia che impone spesso nei ruoli a due tra moglie e marito, moglie e amante e madre e figlia, ma anche da sola, con oggetti volti a esaltare l’umanità. Ideata nel 1990 questa serie di venti immagini fa rivivere la storia della donne, l’emarginazione, l’ingiustizia e la sopraffazione che in genere si ha avuto su di loro. Carrie fotografa che ha appena vent’anni, nasce in un’America che non dà spazio alle donne, figuriamoci a quelle di colore. Comincia a fotografare la lotta civile, ma anche l’arte, con la danza di Anna Halprin, ad esempio.

Il volume edito da Textuel nasce per dar spazio a una nuova storia, a un racconto inedito che fa della fotografia la vera protagonista passando dalla mente, dalle scelte, dagli obiettivi di queste grandi donne che in un certo senso la storia ufficiale ha dimenticato ma che grazie al lavoro di altre donne come Marianne Thiery possono tornare lì dove meritano, nella nostra memoria.

[Redazione]

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